IV domenica di Quaresima: Dio ha tanto amato il mondo...

Il serpente

Presso alcuni popoli il serpente è un animale sacro; ed anche presso i vicini degli Israeliti. Ma nella scrittura il serpente appare come animale simbolo della tentazione e del peccato: fin dalle origini dell'umanità (come leggiamo nel libro della Genesi), fin dalle origini del popolo (come leggiamo nel libro dei Numeri).

Gesù si riferisce qui all'episodio narrato in Numeri capitolo 21: il popolo che mormora contro Mosè, che cede alla maldicenza e alla ribellione, e la conseguenza nefasta della mancanza di fede: una invasione di serpenti velenosi. Come unico rimedio Dio ordina a Mosè di costruire un serpente di bronzo: chi lo guarda, sarà salvato.

Dio lo trattò da peccato in nostro favore

Il serpente del deserto dunque rappresenta nello stesso tempo la malattia e la cura, il male e il rimedio per guarire. Allo stesso modo, dice Gesù, “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. Al di là del linguaggio (simbolico per Giovanni, giuridico-legale per Paolo) è sorprendente la consonanza teologica con quanto si dice nella seconda lettera ai Corinti (5,21): “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”.
Gesù, l’innocente, il senza peccato, è stato trattato come un peccatore, ha subito il castigo degno del peggior peccatore. Innalzato come simbolo di ignominia e di morte, diviene segno e strumento di salvezza.

Bisogna che sia innalzato

Rispetto alla teologia di Paolo, però, Giovanni compie un passo ulteriore: Paolo parla della croce come “umiliazione”, “svuotamento”: nel quarto vangelo invece essa è concepita come “innalzamento”, “glorificazione”: la potenza risuscitante non è qualcosa che appare solo “dopo”, ma è già implicita nell’evento stesso della croce. Dal costato trafitto di Gesù sgorgano sangue ed acqua, c'è una vitalità imprevedibile che si effonde da quello che sembra solo un cadavere. Sulla croce Gesù “consegna lo spirito”, espressione che può sia indicare il suo ultimo respiro, sia alludere all’effusione dello Spirito Santo. In conclusione: per Giovanni già nella croce è attiva la potenza di Dio, già nella croce è presente il germe della salvezza, già la croce è esaltazione e gloria, perché in essa Dio “dona” totalmente il suo Figlio.

Un dono di amore

La croce è già gloria perché in essa risplende la pienezza e la totalità dell'amore. La croce è già gloria perché in essa appare, tutta intera, da subito, la grandezza della misericordia divina, che non vuole condannare, ma accogliere e perdonare. La croce è già gloria, ma è nello stesso tempo domanda, richiesta: richiesta al Padre, che con la sua forza risuscita il Figlio; richiesta all’uomo, perché accolga il dono ed entri nella prospettiva della salvezza.

Domanda e risposta

Il Padre risponde alla domanda del figlio. Ma noi? È a questo livello che la croce può diventare giudizio: non per la volontà di Dio, ma per la cattiva volontà umana, incapace di accogliere, incapace di lasciarsi risanare, incapace di rivolgersi al bene. “Gli uomini hanno amato più le tenebre della luce”. Su questa amara constatazione potrebbe chiudersi il brano. Il grande poeta italiano Leopardi la riprese come intestazione ad una sua composizione, ispirata a un pessimismo radicale. Veramente saremmo tentati di affermare che non c’è nulla da fare: che gli uomini sceglieranno sempre il peggio.

Verso la luce
Indubbiamente, troviamo chi non vuol far scoprire che le sue opere sono malvagie, chi pesca nel torbido, chi preferisce le tenebre. Ma non ci occupiamo di costoro. C'è anche chi “fa la verità”. Espressione stranissima, che indica una qualità dell’agire, un processo più che un risultato. La verità non è qui qualcosa da dire, ma qualcosa da fare. Non è un concetto, ma una persona: la verità è Gesù. “Fare la verità” significa agire come lui. La frase non ha una connotazione confessionale: chiunque, non solo i discepoli di Cristo, può “fare la verità”. Ma costui certamente “verrà verso la luce”: è un processo di chiarimento, di svelamento, finché appaia chiaramente che “le sue opere sono state fatte in Dio”. Siamo tra quelli che “fanno la verità”? E accettiamo di “venire verso la luce”?