La Passione n. 1/ Morte

"lo cercavano per ucciderlo": la morte appare da subito, non solo sullo sfondo, ma come progetto criminale. Si tratta di una morte violenta, di una uccisione, per un'interesse personale, o meglio per un egoismo di gruppo.
Sullo sfondo però sta la celebrazione della Pasqua: anche qui, si ha a che fare con l'uccisione rituale dell'agnello; che però non viene menzionata dall'evangelista ("la Pasqua e gli azzimi"). Forse perché il vero agnello è Gesù stesso. La sfida del rito è di carattere particolare: ogni rito del popolo ebraico aveva a che fare con il sacrificio e la morte. E pone quindi la domanda: può la morte avere un senso? Trovare un significato?

La risposta alla domanda non avviene durante un rituale ufficiale, ma nel contesto profano di un banchetto. Profano, ma altamente simbolico: lì una donna unge con olio il capo di Gesù. Il suo gesto appartiene alla lunga schiera di una serie di presagi oscuri che attraversano la narrazione, fino all'arresto. Quell'olio versato, "sprecato", dice uno dei presenti, scandalizzato, sembra semplicemente perso e sciupato, senza nessun significato. Gesù corregge la visuale gretta e utilitaristica dei presenti: quell'olio ha un valore, sia come annuncio di sepoltura, sia come annuncio di un tempo nuovo, il tempo della risurrezione, in cui il vangelo sarà annunciato a tutto il mondo, e la memoria di quel gesto (opera bella) non andrà persa.

La morte può ricevere un senso, anche se assurda: lo mostrano le parole sul pane e sul calice. Il corpo e il sangue di Gesù possono diventare dono. Anzi, lo diventano effettivamente, nell'ultima cena. Un dono di alleanza. Qui appare che l'amore di Gesù è superiore all'invidia e al meschino progetto di eliminazione attuato dai capi. L'uccisione omicida diventa occasione per il dono totale di sé.

Pietro rappresenta il modo umano di rapportarsi alla morte. Gesù, pur essendo presentato come profondamente umano, fino ad essere addirittura fragile, intimorito dal "calice" che dovrà bere, ha una forza divina che gli consente di affrontarla in maniera radicalmente nuova.
Pietro si dichiara pronto a "morire con Gesù". Il proposito sembra bello e positivo, ma la sua prospettiva è totalmente opposta. Gesù è pronto a dare la vita per amore di chi lo uccide, Pietro è pronto a morire per uccidere i nemici di Gesù, per odio contro chi minaccia la vita di Gesù. Gesù è pronto a dare la vita, Pietro è pronto ad impedirlo. Gesù è pronto a non far nulla, pur di non reagire con la violenza; Pietro è pronto a tutto, pur di rispondere alla violenza ingiusta. Per fortuna l'odio di Pietro non sarà sufficiente a fargli restare la voglia di perdere la vita... a volte anche l'egoismo ha una sua funzione!

La scena dell'orto degli ulivi è il primo contatto diretto con la fine. Non solo il pensiero della fine: ma il suo volto, la sua concretizzazione imminente. E' questo che fa tremare Gesù, e fa addormentare i discepoli. Gesù soffre e cade nell'angoscia: la sua preghiera si fa lotta, scontro di alternative, alla fine risolta nell'abbandono al Padre. I discepoli invece dormono: non possono guardare in faccia la realtà. Perciò si rifugiano nel sonno, in un mondo di sogno: manca poco e scapperanno via.

La scena dell'arresto si svolge in un contesto di battaglia: la folla è armata con spade e bastoni. Ma non avviene nessun combattimento: Gesù si consegna, e i suoi discepoli fuggono. All'abbandono alla volontà del Padre, fa seguito l'abbandono alle mani degli uomini. La vita di Gesù non gli appartiene più: d'ora in poi sarà legato, afferrato, costretto a seguire i suoi aguzzini e gli accusatori. E' l'anticamera della fine. Gli interpreti notano, a partire da questo punto, la pressoché totale passività di Gesù. Eppure si tratta di una passività carica di senso, e anche carica di effetti.

Ad esempio, nella scena del procedimento davanti al Sinedrio, notiamo che Gesù è totalmente in balia degli eventi. False accuse, false testimonianze contro di lui: non gli resta che tacere. Ma non è per le false accuse che viene condannato: i falsi testimoni infatti sono tra loro discordi. Non è per la menzogna che Gesù muore: ma per la verità. Perché ad un certo punto dice "io lo sono". Gesù è condannato perché si espone nella verità della sua persona. Il legame tra verità e morte è piuttosto inquietante. Se davvero diciamo la verità, perché non siamo in pericolo di vita?

Barabba è omicida. Colui che ha posto termine alla vita di altri, per futili motivi. E' già destinato alla pena capitale, forse egli stesso riconosce che è giusto così. Eppure, l'omicida viene liberato. Al suo posto muore Gesù, l'innocente. Barabba è il primo salvato.

A partire dalla scena del processo, il termine chiave, continuamente ripetuto è "croce" e "crocifiggere". Ora Gesù è non solo passivo, ma anche immobile. Le derisioni lo invitano a spostarsi: "scendi dalla croce". Egli invece resta lì. Immobile fino alla morte. E' forse questo l'elemento che fa sospettare al centurione "veramente quest'uomo era figlio di Dio". In questa confessione c'è un piccolo miracolo. Un Dio che muore è inconcepibile per l'umano. Sulla croce, poi: del tutto imopossibile. Eppure il centurione lo riconosce. Non solo "nonostante" la morte: ma "vedendolo morire in quel luogo". Lo riconosceremo anche noi?