Quarta di Pasqua: il pastore dà la vita per le pecore

NORMALMENTE DIPENDENTI

Tanto l’azienda è sua… che importa a me?

Non comprendo bene perché venga tradotta con “mercenario” una parola greca che deriva chiaramente da “salario”, “paga”: solitamente non si assolda un mercenario per accudire il gregge, ma un pastore salariato. Un dipendente. “Il dipendente, che non è pastore, e che non ha la proprietà delle pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge”. La maggior parte dei miei parrocchiani sono lavoratori dipendenti. Ne ho interrogati molti, e mi hanno confermato che è così. Anche il più affezionato e diligente lavoratore, soprattutto quando è esasperato da ripetuti errori e trascuratezze da parte della proprietà, prima o poi sbotta in una frase del tipo “tanto l’azienda è sua… si arrangino!”. Come il pastore salariato che non si impegna più di tanto a difendere le pecore dal lupo. E’ assolutamente comprensibile. Non si può chiedere a un dipendente di perdere la vita per ciò che appartiene a un altro. Certo, parlare di “mercenario” evoca un’idea più direttamente negativa. Una persona assoldata per fare la guerra, per guadagnare dalle disgrazie altrui. Ma forse non è questo il quadro a tinte così fosche su cui risalta la figura del buon pastore.

Un atteggiamento normale

“Il buon pastore dà la vita per le pecore”. Ciò non esiste. Anche il proprietario tenderà piuttosto a salvare la pelle. Se uno morisse per difendere la sua proprietà, non per questo sarebbe un eroe: a seconda delle circostanze lo chiameremmo piuttosto uno sprovveduto, uno squilibrato, un pazzo. La vita vale più degli averi. Ma qui appunto si tratta di offrire la vita, per poterla donare ad altri. Il brano pone quindi una domanda radicale: che cosa è vera vita? Che cosa significa perdere, donare, trovare la vita? Prima di rispondere, è necessario constatare un primo elemento sorprendente: la vita vera, autentica, valida non si trova nella cosiddetta “normalità”. L’opposizione fondamentale del brano non è tra il buon pastore (che si comporta normalmente) e il cattivo mercenario (che invece è eccezionalmente cattivo). L’opposizione fondamentale del brano è tra il buon pastore (sorprendentemente buono) e il “dipendente” (normalmente e sanamente egoista). Siamo tutti dipendenti, in fondo, e non è un male. Eccezionale è invece la bontà del pastore. Completamente fuori dai nostri schemi.

Una relazione speciale

Il messaggio del vangelo di questa domenica è dunque rivolto a noi, persone normali, ormai adattate al necessario egoismo del vivere. Esso comporta la necessità di stabilire rapporti economici, asettici, distaccati, non compromettenti. E’ così nel nostro mondo moderno, era così, a livelli diversi, anche nel mondo antico. Oggi come allora, la parola del vangelo è provocatoria e ci conduce in una dimensione totalmente diversa. “Conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me”. Siamo all’interno di una relazione profonda, coinvolgente, che abbatte la barriera dell’egoismo. “Così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”: una relazione di amore che nasce dall’amore divino, tra il Padre e il Figlio, e che lo rivela. A prima vista essa non si distingue dall’amore “normale”, emotivo, egocentrico, anch’esso moderatamente egoistico, che tutti dicono di praticare. L’amore di Gesù si spinge fino all’estremo, e si manifesta soprattutto nel momento della prova. Quando si tratta di donare la vita.

Il potere di dare

Nella vita normale il potere consiste nell’avere. Il potere di decidere, di fare, la libertà di scelta, è sempre in vista di un avere, di un possesso. Per Gesù invece il potere è il potere di “dare la vita”. Il potere di donare. Strano potere: per noi, gente normale, donare significa perdere. Per Gesù invece, colui che ama in maniera eccezionale, il donare significa stabilire una relazione profonda, un legame di amore. Noi gente normale abbiamo paura dei legami: temiamo che essi annullino la nostra libertà. Per Gesù invece, colui che trasmette a noi la sua stessa, straordinaria capacità di amare, il legame è la condizione in cui si esplica la libertà: non è vera libertà se non diventa libertà di amare. Non è un perdere la vita: colui che si dona fino a perdersi, come Gesù, avrà anche il “potere di riprendere” la vita. Nessuno può strapparci alla relazione con Dio e con il suo Figlio. Nessuno può impedire al credente di donare, nemmeno la persecuzione o la paura.

Un dono per tutti

“Ho altre pecore, che non sono di questo recinto”. Ciò che propone Gesù è eccezionale, ma non elitario. Fuori dal comune, ma non riservato. Non esiste un recinto separato, dove diventa difficile entrare. Siamo noi che ci chiudiamo nel recinto del nostro normale egoismo. Fuori, il buon pastore ci chiama: sapremo ascoltare la sua voce? Oppure chi sembra lontano avrà un orecchio migliore del nostro?