Quinta di Pasqua: senza separazioni

Attrazione irresistibile

Nel gruppo della lectio divina l'attenzione si porta irresistibilmente sul tralcio bruciato. Non so perché questo avvenga, ma è così. Ci sono molte altre affermazioni splendide e degne di nota: "rimanete in me e in in voi";"chiedete quel che volete e vi sarà dato"; "in questo è glorificato il Padre mio". Ma in quel momento il fattore irresistibile di attrazione diventa la sorte del tralcio bruciato: perché non porta frutto? Perché viene tagliato, se è ancora verde? Perché deve essere irrimediabilmente bruciato? Come è possibile che, pur essendo inserito nella vite, resti improduttivo?

Un ruolo strutturale

La prima tentazione è di liquidare la domanda come irrilevante. Succede spesso che l'attenzione si soffermi su frasi o parole che non hanno grande importanza nel testo. Invece no. Il brano si articola in due sezioni, entrambi che cominciano con "Io sono la vite": la prima volta si aggiunge "il Padre mio è l'agricoltore"; la seconda volta si aggiunge "voi siete i tralci". Al termine del brano di nuovo si cita il "Padre mio", che viene glorificato dal frutto dei tralci/discepoli. Le relazioni fondamentali che si stabiliscono sono dunque tra Gesù e il Padre, tra Gesù e i discepoli, tra i discepoli e il Padre. Nell'ossatura fondamentale, gli avvertimenti negativi sono ben inseriti ed hanno il loro peso: prima è il Padre che taglia "ogni tralcio che non porta frutto". Poi si aggiunge che "chi non rimane in me viene gettato via... si secca... lo bruciano". Certamente dunque no: dal punto di vista della struttura del testo il destino del tralcio secco non è senza peso, e gioca un ruolo di primo piano.

Chi è Gesù?

Le due colonne portanti del brano sono dunque due affermazioni di Gesù. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice spesso "Io sono": egli è la via, la verità, la vita, il pane vero, il buon pastore... Per questo si tratta di un vangelo contemplativo: perché ci porta a riconoscere l'identità di Gesù e la sua azione nella storia del mondo e nella vita dei credenti. Prima di preoccuparci della sorte del tralcio secco, siamo dunque invitati a contemplare l'identità di Gesù, la "vite vera". Il simbolo della vigna richiama Israele, la vigna, la piantagione preferita dal Signore, di cui i profeti antichi avevano denunciato la corruzione: ("perché ha prodotto uva selvatica?" si lamenta Isaia), mentre i salmi ne piangono la devastazione: "perché hai abbattuto la sua cinta, e ogni viandante ne fa vendemmia?". L'immagine della vigna nell'Antico Testamento insomma è immagine di corruzione e distruzione: Israele, che doveva essere la vigna di Dio, non è stato fedele, nel suo complesso, al suo compito: proclamandosi la "vera vite" si annuncia una rigenerazione, un ritorno, un nuovo inizio. Con Gesù un nuovo germoglio sale dal tronco devastato della vigna del Signore. Un germoglio che dà origine alla vera vite.

Il Padre taglia e pota

Il ramo infruttuoso viene tagliato. Quello fruttifero viene potato. L'immagine è tremenda: sempre di tagliare si tratta, e ciò che resta è il tronco spoglio e nudo. La differenza è che ciò che viene potato risorge e si moltiplica, ciò che viene semplicemente eliminato non ha la forza di germinare ulteriormente. Nella potatura si può vedere innanzitutto un'immagine della Passione: Gesù stesso è il germoglio fruttifero, che nella Passione è stato tagliato (apparentemente, alla radice) per riemergere ancor più vigoroso e forte. La potatura è una delle azioni che richiedono più competenza ed esperienza: occorre sapere, progettare a lungo termine. E' questo il ruolo del Padre, e parabolicamente Gesù allude ad una conoscenza che, nella sua interezza, sfugge al controllo dell'uomo. Noi non sappiamo distinguere tra il taglio e la potatura. Non sappiamo che cosa si seccherà e che cosa germoglierà di nuovo; e non sappiamo quando. Sappiamo però che tutti sono chiamati a subire dei tagli...

Il tralcio porta frutto

La seconda autopresentazione di Gesù è messa in raccordo con i discepoli, i tralci. Abbiamo così un'immagine organica della Chiesa, simile a quella paolina del "corpo di Cristo". L'uso di un'immagine ci fa comprendere che si tratta di una realtà che non si può comprendere: è una realtà viva, vivente, non vivisezionabile, non calcolabile, non razionalizzabile. Il pensiero ha un suo ruolo, ma ha anche un limite: l'essenziale è "essere dentro", essere inseriti... Gesù dice ai discepoli (e dice a noi): rimanete in me e io in voi. Il rimanere in Gesù non è solo un fatto spirituale o intellettuale, ma ha un risvolto pratico, tecnico, organizzativo: in una parola, incarnato. Gesù, verbo fatto carne, diviene anche "vite", in cui i discepoli sono vitalmente inseriti: è la stessa dinamica dell'incarnazione che continua.

Restare in lui

Restare in Gesù significa dunque certamente aver fede. Ma che cos'è questa fede? Solo un pensiero? Una pia intenzione o una pia emozione? La fede ha bisogno di essere detta: ecco dunque la partecipazione (fisica) alla liturgia. La fede ha bisogno di operare: ecco dunque il lavoro, e anche la fatica quotidiana. La fede è messa alla prova: ed ecco le sofferenze della nostra vita, soprattutto quelle che ci interpellano come discepoli di Gesù. La fede agisce per mezzo della carità: ed ecco la ricerca dell'amore autentico, del dono di sé, a imitazione di ciò che ha fatto Gesù. E' nell'amore che vieniamo, per così dire "potati": perché quando si ama, prima o poi si incontra sempre la croce. Ma a partire dalla croce sperimentiamo la sorprendente vitalità della sua parola: là dove il nostro perdono sembra cadere a vuoto, dove il dono sembra essere rifiutato, dove la carità sembra aver fallito, proprio là si sperimenta la forza della risurrezione. Non importa quanto profonda sia stata la potatura: chi è unito a Gesù risorge.

Infruttuosi?

Ma torniamo alla domanda di partenza. Perché il tralcio tagliato? Perché il fuoco? Si può risolvere elegantemente la questione considerandole antitesi di contrasto, semplici immagini di contrapposizione per far risaltare maggiormente l'aspetto positivo. Soluzione elegante, ma forse non rispondente al testo. Il testo ci mostra Gesù che si rivolge ai suoi discepoli. A loro che sono già uniti vitalmente in lui. E' per loro l'avvertimento: "senza di me non potete far nulla". Il testo non è un messaggio di condanna per chi non fa parte della vigna, ma un avvertimento a chi è più strettamente già unito ad essa: a partire dai vescovi, dai presbiteri, fino ai loro più stretti collaboratori. Sono essi i più esposti alla tentazione di "fare senza Gesù". Che nella sua forma più insidiosa si presenta come "disintegrazione": la fede e non le opere; oppure le opere senza badare alla fede; la spontaneità contrapposta all'organizzazione; la pianificazione contrapposta alla tradizione: comincia a staccarsi da Gesù chi privilegia il suo punto di vista, la sua specialità, e finisce per non integrarsi più con il tutto. Possiamo portar frutto solo uniti a Gesù. E quindi, solo se vitalmente uniti con i fratelli. Ma non è possibile essere uniti senza amarsi, senza rispettarsi, senza lasciare che ogni tralcio abbia il suo spazio... Giovanni ci fa entrare nel pensiero organico e simbolico. Un pensiero difficile, perché impedisce ogni esclusivismo. Ma l'unico modo di pensare che fa vivere. Sbrighiamoci a portar frutto...