XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Ciclo A) - Meditatio

NB: in lavorazione!!!
Il testo sembra avere due livelli di lettura. Un primo livello, di tipo sapienziale. Che suggerisce di impegnare e trafficare ciò che si è ricevuto. Anche perché poi verrà il momento del rendiconto.
Il secondo livello nasce dall’applicazione alla relazione di fede uomo-Dio. Qui ci scontriamo con una pretesa che sembra assurda, con una Dio che non appare Padre, ma padrone crudele. Eppure, proprio il fatto che – noi lo sappiamo – Dio è padre, potrebbe indicare la via: occuparsi delle cose del Padre, come se fossero “nostre”. I servi non sanno dove andranno a finire le pretese del padrone: per i primi due è una lieta sorpresa, per l’ultimo la sorpresa è amara. Ma per noi? La sorpresa è svelata. Non ci sono scuse.

Il discorso appare astratto finché non lo si cala nella vita. Allora la parabola fa da reagente, svela le nostre situazioni di falsità e pigrizia, e chiama alla conversione.

Applicato alla parrocchia: Dio ci ha dato la fede. Questa fede deve portare frutto: e il frutto più importante è la testimonianza. Dove c'è testimonianza, lì la parrocchia vive, si espande, si rigenera. Ma dove si ha paura, dove si smette di testimoniare, lì la comunità muore.

Applicato al singolo: anche a me, come singolo credente, è stata affidata la fede. Ed anche a me è richiesta la testimonianza. Posso restare sulle mie, aver paura di espormi. Ma a poco a poco ci perdo come persona. La mia fede si inaridisce.

Applicato alla vita: la vita è il primo dono che ricevo da Dio. Il semplice fatto di vivere: Dio ci ha dato la vita, l’esistenza, il mondo… ma io che ne faccio? Io vedo la parabola come un’invito all’esame di coscienza: a chiedermi come sto usando la mia vita, se veramente ho il coraggio di uscire da me stessa, di buttarmi, di accogliere le persone, di andare incontro, di vivere…

Applicato all’Eucaristia: il verbo “consegnare” è lo stesso di Gesù, “consegnato” nelle mani degli uomini. Ed è lo stesso che viene usato per indicare l’annuncio del Vangelo, “ricevuto” e “consegnato”, o “trasmesso”: “vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto”. Ogni domenica dunque Gesù si consegna nelle nostre mani attraverso l’Eucaristia. Ogni domenica riceviamo il dono di Dio…

Il talento nascosto e il tesoro nascosto. Il servo nasconde il talento per paura. Colui che trova il tesoro nel campo invece lo nasconde per poterlo comprare. Ma deve prendere una decisione difficile: vendere tutto ciò che ha. Il messaggio delle due parabole sembra omologo: occorre accettare di mettersi in gioco.

Il consiglio di un padre spirituale, che ha inciso nella mia vita, e che ogni tanto ritorna: “non ti preoccupare mai. Dio non ti chiede più di quello che puoi dare”. La paura invece ci inganna: come se Dio ci chiedesse troppo. Lui si fida di me, più di quanto io stessa non mi fidi. Noi siamo belli ai suoi occhi, ma ci vediamo brutti…

Applicato ad un atteggiamento di fondo e al problema della motivazione: chi me lo fa fare? Forse il terzo servo non lo fa fruttare per paura di doverlo restituire. Perché sprecare energie? Perché affaticarsi, per qualcosa che in fondo non gli appartiene? Il servo è malvagio nel senso che “vede male” la fiducia del padrone. Per gli altri è un onore, per lui un peso. Anche per noi a volte la relazione con Dio diventa un peso.

Applicato alla vita spirituale. Evoca una vita che non decolla. Che rimane nella mediocrità, senza slanci, senza rischiare, senza scommettere nulla. “Stringendovi a Cristo, pietra viva” abbiamo ascoltato domenica scorsa: ma più spesso si evita di farsi coinvolgere. Alterniamo momenti di slancio e momenti di calcolo. Chi si ferma, torna indietro.