Ascensione: ad ogni creatura...

Lo sguardo poetico di Dio

Ad ogni creatura

Il termine “creatura” indica qui evidentemente la creatura umana. Potremmo dire: “ad ogni persona”; “ad ogni uomo”; “ad ogni donna”. Ma l’evangelista usa il termine “creatura” che presenta due sfumature molto forti. Innanzitutto, si tratta di un termine collettivo: l’umanità è vista come un tutt’uno. La grande massa degli uomini del mondo è vista con un unico sguardo, un unico abbraccio. In secondo luogo, quest’unico sguardo è lo sguardo del Dio creatore. Uno sguardo amorevole, buono. Ma anche, come osava dire una fanciulla del gruppo liturgico, uno sguardo “poetico”, che sa cogliere la bellezza, che si lascia affascinare.

La bellezza del vangelo

Lo sguardo poetico di Dio si oppone ad altri modi di guardare: per esempio lo sguardo “tecnico”. La “creatura” diventa “risorsa”, “unità produttiva”, “problema”, “tessera”, “esubero”. Esiste poi lo sguardo “corporativo”: quello che distingue un “noi” e degli “altri”, generalmente “diversi”, spesso “nemici”. Esiste infine lo sguardo “estraniante”: quello che non fa vedere un “io” e un “tu”, ma l’“io” (con la sua libertà) e gli “altri” (che la limitano). Con il comando di annunciare il vangelo ad ogni creatura non è data solo una missione, ma anche uno sguardo, una considerazione diversa per ogni uomo. Ogni uomo è figlio di Dio, perciò posso annunciargli – o quantomeno testimoniargli – il vangelo. Così la forza del vangelo trasforma innanzitutto chi l’annuncia: perché gli apre lo sguardo, perché gli apre il cuore.

I segni dell’uomo nuovo

I segni che accompagnano l’annuncio sono segni di una identità nuova comunicata ai discepoli di allora e di sempre. Solo colui che è liberato dal male può scacciarlo dagli altri; solo chi è in comunicazione con Dio può trovare le vie di un nuovo linguaggio da trasmettere agli uomini; solo chi è in contatto con la forza di Dio può essere immune dai veleni dell’invidia e della resistenza alla forza dell’amore… Mandandoci a guarire, Gesù ci guarisce. Ma se ritorniamo alle nostre malattie, come possiamo sperare di essere suoi discepoli e testimoni?

Tornare ad annunciare

La festa dell’Ascensione ci ricorda che il Risorto continua ad essere presente nella sua Chiesa, così come è presente alla destra di Dio. Egli libera il nostro sguardo. Ci libera dalle malattie a cui volentieri ritorniamo: seduzione del potere, cedimento alle ideologie dominanti, illusione del settarismo, chiusura dello sguardo nei ciechi e sordi meccanismi economici. Ci libera inviandoci, invitandoci ad essere testimoni. Chiama le nostre comunità a non essere più passive, ma missionarie… e noi sapremo accogliere l’invito?

Flash sulla I lettura
“dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo”
Il brano ruota attorno a tre menzioni dello Spirito Santo, che ritmano la narrazione. Nella prima, si evidenzia come la scelta degli apostoli avviene nello stesso Spirito che ha accompagnato Gesù in tutta la sua missione, fin dall’inizio (ricordiamo la scena dell’annunciazione).
“sarete battezzati in Spirito Santo”
La promessa del dono dello Spirito regge tutta la tensione narrativa dei capitoli 1 e 2 degli Atti. A partire da essa le scene si succedono in un clima crescente di attesa per il compimento della promessa. Il richiamo a Giovanni Battista crea un arco narrativo ancora più grande, che include tutta l'opera, dall’inizio alla fine, il primo e il secondo libro, e si allarga a tutta la storia della Salvezza: il Battista rappresenta l’antica Alleanza, e la sua tensione ad un compimento, quando lo Spirito di Dio sarà presente in maniera stabile nel cuore dell’uomo.
“riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi”
Il ruolo dello Spirito viene pian piano chiarificandosi: non è un fattore di potere, non è un mezzo per acquistare un predominio, non è finalizzato al ristabilimento di antiche gerarchie. Lo Spirito non fa diventare capi, ma testimoni. Lo Spirito non garantisce possessi stabili, ma destabilizza e spinge a muoversi fino ai confini della terra.

Il ruolo dello Spirito contiene provocazioni forti per le nostre comunità: fino a che punto le nostre scelte sono davvero “ispirate”? C’è una vera attesa dello Spirito, o ci si muove in base ad urgenze e gusti personali? Si cercano posizioni di potere e di privilegio, o di nascondimento e di comodo? Qui non si garantiscono posizioni di successo. E neppure vite tranquille. Lo Spirito conduce al rischio della testimonianza.

Flash sulla II lettura

Il termine chiave di questo splendido brano dalla lettera agli efesini è “unità”. Esso va correlato con una seconda parola chiave: “chiamata, vocazione, dono”.
Si parla perciò di “unità dello spirito”. E si insiste a spiegarla: un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza…
Non si tratta dunque di una unità forzata, totalitaria, o dell’appiattimento capitalistico, che fa del mondo un unico mercato globale, dove tutti devono adeguare i loro gusti all’offerta produttiva più conveniente e remunerativa. Per questo la seconda parola chiave è "vocazione/dono”.
“A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”
L’unità di cui si parla non è creata artificiosamente, o imposta, o indotta attraverso un processo di manipolazione, ma nasce dal dono di Dio. La sua chiamata si ramifica, si individualizza, non soffoca le differenze.
“Colui che discese è lo stesso che anche ascese”: il mistero dell’ascensione è il prototipo di questa dinamica: un mistero che unisce, un dono che si articola e si moltiplica. Gesù è colui che è “disceso”: si è fatto individuo singolo, in un tempo, in una storia limitata. Sembra strano che sia lui a portare unità: non ha né la forza delle armi, né la forza della cultura, né il fascino dell’incantatore. Anzi, sembra provocare divisione e contrasti, tanto da essere ucciso. Eppure proprio nel suo farsi piccolo, nel suo svuotarsi, sta la guarigione dell’odio, dell’orgoglio, del peccato che divide gli uomini da Dio e tra di loro: proprio accettando di scendere nell’abisso del male, Gesù può essere innalzato e diventare motivo della vera comunione. Egli è colui “che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose”.

Il salmo responsoriale e la liturgia

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Perché questo salmo nel giorno dell’ascensione? Semplicemente, perché viene citato il verbo “salire”. Questa semplice assonanza verbale è sufficiente per introdurlo nella liturgia. Sembra un procedimento poco serio, poco ragionato, poco scientifico. Come la citazione della seconda lettura, che applica a Gesù le parole di un altro salmo “Ascendendo al cielo ha portato con sé prigionieri…”. Eppure funziona. Vediamo perché.
Il salmo di oggi sembra derivare da una liturgia di intronizzazione solenne. Un riferimento biblico adeguato per definire il contesto simbolico potrebbe essere il racconto del trasporto dell’arca nella città di Gerusalemme ad opera del re Davide. Il simulacro della divinità viene trasportato nel punto più alto della città, dove sta il santuario. Il salmo accompagna la liturgia processionale-ascensionale, e la commemora periodicamente. Anche se non fosse possibile ripetere materialmente la processione di ingresso dell’arca (perché chiusa nel tempio, o perché il tempio era distrutto), il salmo resta, come ricordo e riattualizzazione. E il simbolismo centrale è quello della salita: Dio è re, signore di Israele, signore della storia, perché sale in alto. Allo stesso modo negli Atti si dice che Gesù è Signore, perché “sale al cielo”, perché vive “alla destra del Padre”. La corrispondenza letterale del simbolismo mette in evidenza una corrispondenza più profonda che si instaura tra i due misteri: la promessa della regalità di Dio nell’Antico Testamento, e la sua realizzazione piena in Gesù.

LA NOTIZIA
Scajola: «È inderogabile il mantenimento dei cinque stabilimenti Fiat in Italia»
Marchionne: «Fiat offre a Opel
asset che producono contanti»
Sindacati tedeschi: «Fateci vedere i soldi, mantenete posti di lavoro in Germania e politica autonoma del marchio»
Dialogo tra Mauro e Marco, in auto fuori dal centro sportivo.
Mauro: Aspetti tua figlia?
Marco: Sì, fa il corso di pallavolo. E tu?
Mauro: Io aspetto mia moglie. Fa la sessione di aerobica o step o come cavolo si chiama… tutti gli anni cambia, solo i soldi da spendere rimangono gli stessi, anzi aumentano sempre.
Marco: Ma non ha la sua macchina?
Mauro: Purtroppo sì. Ma di solito torna con la sua amica; solo che oggi l’amica doveva andare dall’estetista e non poteva portarla indietro… così mi tocca venirla a prendere.
Marco: Vorrai mica farla tornare a piedi…
Mauro: Ah, io sì, la farei tornare… anche perché non sono neanche quattro chilometri. Giusto una passeggiata salutare.
Marco: Solo che la passeggiata salutare è gratis…
Mauro: Esatto. Quindi non è una roba seria.
Marco: Mia figlia invece verrebbe volentieri da sola… ma sono io che non la voglio lasciar circolare troppo. Però intanto sono sempre in macchina. Sono un po’ stufo.
Mauro: Adesso poi che ricomincia a salire la benzina… l’estate scorsa che era a un euro e mezzo ho avuto la scusa per tenerla chiusa una settimana. Bellissimo: mia moglie andava in bici, mio figlio pure, nessuno faceva più giri inutili… ma poi è finita.
Marco: È difficile liberarsene. Tutta la nostra economia gira attorno all’auto.
Mauro: Io direi: ad un uso sconsiderato dell’auto. Così come attorno ad un uso sconsiderato di cellulari e altre schifezze.
Marco: Esatto. Per questo la Fiat ha sette vite… Speravo che finalmente con questa crisi ce ne potessimo liberare… invece eccoli lì. Senza spendere un soldo si prendono la Chrysler, e adesso anche Opel. E quasi quasi possono andarsene dall’Italia.
Mauro: Ma non possono lasciare a piedi migliaia di persone…
Marco: Perché no? Per incentivare l’auto l’Italia ha costruito autostrade, non ha rafforzato le ferrovie, non ha incentivato il trasporto via fiume, lascia andare alla malora il trasporto pubblico… Quanto ci è costata l’industria dell’auto?
Mauro: Ma adesso è difficile tornare indietro.
Marco: E questa è la fregatura. Perché adesso la Fiat può tranquillamente sopravvivere senza l’Italia. Mentre sembra che l’Italia non possa sopravvivere senza la Fiat…