Il mistero, la parola e le parole

Sono appena tornato dalla route-pellegrinaggio con gli Scout. Prima di arrivare a S. Paolo fuori le mura, ci siamo lanciati in un percorso tra Poggio Bustone e La Foresta, due splendidi luoghi francescani, nel verde della valle reatina, tra il Lazio e l'Umbria. Luoghi ancora incantati, coperti di un bosco discreto, sereno, luminoso. Non la selva oscura di cui parlava Dante, carica di misteri paurosi e negativi; eppure, per chi sa vedere, ugualmente carica di un suo mistero. Forse talmente chiaro, che nessuno lo sa vedere... a volte accade così. Ciò che è più evidente diventa più difficile da trovare. Come GIorgio, che per un quarto d'ora ha cercato il suo portafogli, per tutto il pulman, nello zaino, nella tasca, nella giacca a vento... quando per la quinta volta ha frugato di nuovo nello zaino, il portafogli era lì, appena sotto la borraccia. Sollevando la borraccia, sollevava anche portafogli. Per quattro volte non l'ha trovato...

Il mistero, dunque. Il problema che un amico mi ha posto è di esprimerlo in un'immagine, in un quadro. Direi che non si può. Ma questo bosco in cui cammino, sotto il peso dello zaino, mi dice il contrario. C'è il mistero in ogni cosa che si vede. E' la presenza di Dio. Quindi, nulla di strano che ci sia mistero anche in un quadro. In ogni quadro? Perché no? Ma il mio problema è diverso. E' possibile che un quadro, un'immagine, non solo contenga un qualche mistero, ma che addirittura raffiguri il mistero? Sul sentiero francescano si apre una cappella. C'è una targa, con una didascalia: "sasso con l'impronta del piede di S. Francesco". Questo, se fosse vero, sarebbe un bel mistero. I ragazzi si ritirano scettici. Davvero quello scavo è il piede di S. Francesco? Io sorrido: non ho bisogno dell'impronta del piede di Francesco. Ogni sasso del sentiero, volendo, parla di lui.

Ma torniamo al mistero. Ce n'è in ogni opera d'arte (altrimenti che opera d'arte sarebbe?). Però di solito, da quel che ricordo, sta sempre in un dettaglio. E di solito è qualcosa di non figurativo. Che va al di là dell'immagine. La Pietà di Michelangelo, per esempio. Una giovane donna allarga le braccia a contemplare il Cristo morto. Il mistero è nel triangolo che avvolge la composizione. Stabilità, compostezza, abbandono. Il mistero è nel volto troppo giovane della Vergine. Come è possibile che una giovane ragazza accolga tra le braccia il figlio trentenne già morto? Ecco il mistero. Su cui né il turista giapponese si soffermano, né il biolcone americano, né l'anziana devota. Ma anche l'anziana devota, con qualche perplessità, deve ammettere che è strano. "Vergine madre, figlia del tuo figlio", diceva Dante. Forse è questo a cui allude lo strano anacronismo di una statua altrimenti perfetta? O forse, è la vergine che contempla il futuro, che medita sulla profezia di Simeone: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima"? O forse, come dice ghignando un confratello "Michelangelo si è sbagliato"? Mistero. Il mistero di un dettaglio, quello a cui nessuno bada. Che solo pochi possono cogliere. Ma se riescono a parlarne, tutti aprono gli occhi. Non è l'ultima pietà quella di S. Pietro. Michelangelo ne fa altre. L'ultima è la Pietà Rondanini. La più scavata, la più sofferta, la più incompiuta. Ma proprio in quella incompiutezza sta il mistero. La madre che sempre più si lascia scavare dal dolore, fino ad assomigliare perfettamente al figlio... anche qui, forse, sta un mistero: più profondo di quello della statua perfetta, lucidata e pulita. Il mistero non è solo nei dettagli: è anche nella lavorazione, nella grana: il tocco vellutato di Raffaello. Le pennellate tormentate di van Gogh. Il non finito scavato e inadagatore di Michelangelo. Fino alle coltellate nella tela di Fontana. Paradossalmente, pieno di mistero. Dove l'immagine è sostituita dal gesto... ma questa è arte moderna, quella che "non si capisce niente", e quella che "ciascuno gli fa dire quello che vuole". Eppure...

Eppure la lettera agli Efesini è un'opera di arte moderna. Non ho tempo di commentarla, accidenti. Alla riunione preparatoria ho detto di trovare un'altro esegeta che ne faccia il commento. Non ho tempo di studiarla per tutto il tempo che serve. Ma una cosa è certa: essa parla un linguaggio nuovo. Non è quello delle lettere paoline; per questo c'è chi dubita che sia della mano di Paolo. La questione non è rilevate. Paolo o non Paolo, qui si cerca di parlare in maniera nuova, di non ripetere il passato. Gesù non aveva mai parlato del mistero. Qui invece si parla del "mistero nascosto nei secoli". Di un progetto di Dio, di un disegno, che viene detto in modi nuovi. Che forse urtavano chi ascoltava. Eppure è proprio così: ogni generazione si ritrova il tesoro della tradizione; ma non può limitarsi a lucidarlo e ripulirlo. Deve riproporlo, in maniera nuova.

Il mistero, allora. C'è in ogni quadro, ed è un dettaglio, un tocco, un'idea bislacca dell'artista. Che se ci pensi poi, non è poi così bislacca. Il mistero è nel raggio di luce che squarcia il buio nei quadri di Caravaggio. Sta nel fondo oro delle icone, sospese tra mondo terreno e paradiso; è nella composizione pacata di Giotto, è nel nitore geometrico della Risurrezione di Piero. Un Cristo che ascende vincitore, senza scena, e senza sfarzo. Semplicemente emergendo, con le piaghe in vista. Nella Trinità di Massaccio il mistero è espresso dalla geometria e dal colore: l'impianto triangolare della composizione, i colori complementari che si richiamano l'un l'altro... dettagli. Che vanno al di là del visibile. Ma per aprire gli occhi, serve una parola. Qualcuno che spieghi. Non importa se è qualcosa di strano, che sembra astruso: anche l'opera d'arte più oscura, sarà sempre meno chiara del mistero più sconcertante: la nostra propria vita. E chi può spiegare la vita? Servono molte parole, e dette non in una volta sola.

Mistero è dunque ciò che provoca, che chiede un senso, che attende di essere svelato. La parola è il tentativo di rivelare. Breve o prolungato. Ma solo chi cerca trova. E anche quando si trova, non bisogna mai smettere di cercare. Quando uno crede di aver trovato il senso della vita, ecco che è pronto per una storia d'amore. Non c'è tempo di goderselo: ora bisogna condividerlo in due. E quando la coppia ha trovato un equilibrio, ecco un bambino che pone una nuova domanda. E la coppia è chiamata a risvelare il senso della vita, in modo nuovo, e non solo per sé, ma anche per quel bambino che è nato. E quando finalmente quell'infante è cresciuto, ecco che rimette in discussione tutto. Tutti i valori, i desideri, i sogni a cui è stato educato. Vanno ridetti, riscritti, rifatti propri. Non è mai detta la parola definitiva sulla vita. O meglio: nessun uomo può pretendere di dirla. Solo Dio l'ha pronunciata, in Gesù. Ma perfino lui, parola incarnata del Padre, si affida alla debolezza delle nostre parole. Come si fa a raffigurare tutto questo?