IV domenica del tempo ordinario B: Che vuoi da noi Gesù Nazareno?

Domenica 1 Febbraio 2009
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Deuteronomio 18,15-20 Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole.
Salmo 94 Ascoltate oggi la voce del Signore.
1Corinti 7,32-35 La vergine si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa.
Canto al Vangelo (Mt 4, 16) Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.
Marco 1,21-28 Insegnava loro come uno che ha autorità.

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Possessione e tentazione

L’indemoniato è un capro espiatorio. Su di lui ricade l’ipocrisia, il compromesso con il male, la durezza di cuore di tutta la comunità. L’episodio straordinario e inspiegabile della possessione può essere visto come la punta di un ice-berg, l’esplosione incontrollata di qualcosa che in realtà riguarda tutti. La possessione mostra l’adesione al male nella sua vera natura: impossibilità di comunicazione, impossibilità di relazione, furia e violenza incontrollata, stravolgimento di ogni realtà. La tentazione è invece il compromesso ritenuto accettabile tra noi e il peccato: visto come qualcosa di, tutto sommato, “umano”, non controllabile, anzi, addirittura “liberante”, interessante, che dà un po’ di pepe alla vita… è una dinamica in cui tutti possiamo, ahimè, riconoscerci. La tentazione consiste esattamente nel rendere il male “simpatico”, accettabile, inevitabile, purché resti al di sotto di una certa soglia. Il male “vero” non riguarda me, ma riguarda qualcun altro. Come appunto l’indemoniato.
Ma è chiaro che dove tutti scherzano col fuoco, prima o poi scoppierà un incendio. E che non è solo colpa del pazzo incendiario di turno…

L’intruso

Nella tranquilla comunità di Cafarnao, dove tutti si ritengono a posto, e solo qualche indemoniato è una pecora nera, Gesù appare come un estraneo. Sconvolge gli equilibri precostituiti. Sconvolge la tranquilla trasmissione della sapienza e dei ruoli comunitari. “Erano stupiti perché insegnava con autorità”. Sorpresi perché Gesù è se stesso. Non incarna un ruolo sociale, come gli scribi. Tranquilli nella ripetizione costante di ciò che avevano detto gli antichi maestri, che a loro volta l’avevano ricevuto da Dio. Tranquillizzanti, perché presentano una dottrina chiara, e relazioni altrettanto chiare: loro, studiosi e maestri da una parte, il popolo ignorante e bisognoso dall’altra (e i pochi indemoniati, gli unici cattivi, fuori). Tutti felici di avere un proprio posto. Solo gli indemoniati (ma sono pochi, e sono eccezioni) sono fuori posto… e anche Gesù! Gesù è fuori posto, perché parla a tutti faccia a faccia, non in nome di ciò che ha studiato, ma in nome di una verità che tutti possono riconoscere. Gesù è fuori posto, perché pretende di rivelare direttamente il Padre, e non soltanto di divulgare una dottrina che lo riguarda. Gesù è fuori posto perché, nonostante questa sua pretesa, si presenta come un semplice uomo. Senza sfarzo, senza potenza, senza presentazioni eccezionali… che cosa vuole costui?

Il grido

Nessuno della tranquilla comunità di Cafarnao, all’inizio, dà voce alle obiezioni. Nessuno ha il coraggio di esprimere stupore. Solo l’indemoniato parla, anzi, urla. Continuando la sua funzione di capro espiatorio, dà voce in maniera radicale al dubbio di tutti. “Che c’entri con noi? sei venuto a rovinarci!”. Non sono solo le parole dei demoni. Sono anche i dubbi oscuri che abitano nel fondo del cuore degli abitanti di Cafarnao (e del nostro). Che c’entra Gesù con noi? Che cosa pretende di fare? Perché ci vuol sottrarre al nostro benessere, al nostro quieto vivere, ai nostri ragionevoli e calcolati compromessi con il male? Egli è “Gesù nazareno”: cioè troppo umano, troppo fragile, troppo debole, troppo poco per esaltare uomini assetati di divi, di campioni, di dittatori, di eroi, di rivoluzionari, di capi carismatici, di figure da adorare, di fronte a cui deporre la propria, impegnativa, libertà. Egli è anche il “santo di Dio”: cioè troppo divino, troppo alto, troppo puro, troppo esigente nella sua richiesta di un amore autentico e radicale. Troppo debolmente umano, troppo perfettamente divino: “io so chi tu sei”, dice l’indemoniato, e troppo spesso diciamo anche noi, credendo di saper già tutto e di aver già capito tutto, come una storia ormai consunta, che non ha più nulla da esprimere. Ma una conoscenza senza amore non può cogliere la pienezza del Cristo.

Mettere a tacere la tentazione

Con la forza della sua parola, Gesù dice “taci”. Mette a tacere la tentazione, prima di mettere fine alla possessione. Il grido dell’indemoniato dà voce alle tentazioni di tutti: di considerare Gesù troppo umano o troppo divino. Che diventa un considerare inevitabile che l’umano sia anche impuro, che essere uomini e donne comporti alla fine il compromesso con il male. Che male c’è in questo modo di pensare? Che male c’è in quello che è un semplice atteggiamento, un’inclinazione? Sarebbe come chiedersi: che male c’è ad accendere una miccia con un fiammifero? È una fiammellal così debole… ma bisogna vedere che cosa c’è dall’altra parte della miccia: un petardo, un fuoco d’artificio, una bomba?
Gesù dice all’indemoniato “Taci”. E dice a ciascuno di noi: “Metti a tacere la tua tentazione. Spegni la miccia, prima che possa arrivare alla bomba. Anzi, non accendere neppure il fiammifero…”.

L’azione

Con la forza della sua parola Gesù dice “esci da costui”. La vittoria contro lo spirito immondo è presentata come un “far uscire”. E si tratta di un’azione non facile: “straziandolo forte” lo spirito immondo se ne va dall’indemoniato. E lo stesso avviene della tentazione che riguarda tutti: non è facile stanarla e farla uscire dal nostro cuore, dallla nostra esistenza, dalla nostra vita. Ma la parola di Gesù compie il miracolo. La sua voce ha il potere di rivelare che lo spirito impuro è, appunto, impuro: cioè sostanzialmente estraneo a noi. Il peccato non ci rende più “umani”, né più “liberi”, né più “simpatici”. Non fa parte di noi, del nostro vero essere uomini e donne. Il nostro vero essere risplende in Gesù, che rivela il volto di Dio: non lontano, non irraggiungibile, non tremendamente adirato, ma appassionato e amorevole, tanto da venire a cercare chi è perduto.

Lo stupore

Al termine della narrazione, l’indemoniato è rientrato nella comunità. Il capro espiatorio è sparito, i pensieri tranquilli sono sbloccati: certamente, a questo punto potrebbe incombere anche una consapevolezza diversa del proprio peccato, della propria impurità; ma l’attenzione è distolta ormai da se stessi. Lo sguardo si concentra su Gesù. L’estraneità di Gesù può apparire sotto una nuova luce: quella della sorpresa, dello stupore, della gratitudine. Che potrebbe diventare un primo germoglio di fede. La gente, abituata a conformarsi al pensiero dei suoi maestri, comincia a interrogarsi, a farsi domande. Si risveglia la coscienza, non come pensiero oppressivo e timoroso, ma come nuova mentalità, carica di fiducia. In Gesù è possibile vincere il male. In Gesù è possibile tornare ad essere persone vere.

PRIMA LETTURA: LIMITI E GRANDEZZA DELLA PROFEZIA
Il brano del Deuteronomio rappresenta una riflessione matura sul ministero profetico, racchiusa all’interno della legge. Nella visione ebraica la profezia è relativa alla Legge e dipende da essa. Ma perché c’è bisogno di un profeta? La risposta a questa domanda non è del tutto piacevole. È un bisogno che nasce da un limite: l’incapacità del popolo di ascoltare direttamente la voce di Dio, a causa della sua “impurità”, cioè della sua compromissione con il peccato. Per questo sono necessari intermediari: la Legge, innanzitutto, cioè un libro che trasmette gli insegnamenti dati sul monte santo; e, come intermediari secondari, i profeti. Coloro che nel tempo aiutano ad attualizzare la legge, a coglierne le esigenze nel presente.
Qui si annuncia un profeta “pari a Mosè”, che abbia cioè una relazione privilegiata con Dio. Nel contesto della liturgia odierna, noi cristiani lo riconosciamo in Gesù: colui che abbatte la barriera tra l’umano e il divino. Colui che estirpa da noi la radice del male e dell’impurità. Colui nel quale siamo tutti profeti: perché in lui ascoltiamo la parola divina, direttamente, e in lui siamo invitati ad essere testimoni, discepoli, suoi inviati nel mondo.
Il cristiano è dunque profeta in senso diverso da quello dell’Antico Testamento: essi erano profeti in riferimento alla legge, soffrendo la stessa impotenza della legge (capace cioè di denunciare il peccato, ma non di guarirlo); noi siamo profeti in riferimento a Gesù, e nella misura in cui lo annunciamo, viviamo della sua stessa forza, e la trasmettiamo agli altri.

Il salmo e la liturgia

Venite, cantiamo al Signore
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
“Faccio fatica a stare a Messa, perché non si fa niente”. Così dicono molti. Forse hanno ragione: si è ridotta la Messa alla lettura di un foglietto. Uno là sull’altare legge da un foglietto appoggiato su un librone. Gli altri giù, in mezzo ai banchi, leggono i foglietti appoggiati sul banco (spesso poi cadono anche)… ci vorrebbe qualcosa di più spettacolare? Che cosa bisogna inventare?
Il salmo ci suggerisce che non si tratta di inventare nulla. Basterebbe – tanto per cominciare – riscoprire la gioia di cantare. Una gioia contagiosa, che piano piano si può trasmettere a tutti. Ma che da qualche parte sembra essere diventata un’impresa titanica (come far parlare i muti…). Quanto tempo ci vuole perché una comunità ricominci a cantare nella liturgia? Quanto tempo ci vuole perché un coro smetta di cantare per se stesso, e impari a cantare per tutti?
Il salmo invita anche ad “acclamare”. In effetti non tutto nella liturgia è detto allo stesso modo. Non è tutto lo stesso parlare: si acclama, si invoca, si proclama, si supplica, si ringrazia, si racconta, si annuncia, si sussurra, talvolta si denuncia, talvolta si rimprovera, più spesso si dovrebbe incoraggiare… ma quanto tempo ci vuole per ritrovare lo spessore delle parole nella liturgia?
Se non trovate da soli la risposta a queste domande, e se vi interessa, le troverete la prossima volta.

SECONDA LETTURA

Chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!
I padri dei primi secoli, tranne qualche eccezione, sostengono tutti la superiorità della verginità rispetto al matrimonio. Solo qualcuno (sposato) fa notare che il matrimonio è più difficile, perché comporta più tribolazioni. È lo stesso pensiero di Paolo. Che pertanto ritiene preferibile la verginità, anche se non impedisce il matrimonio, e valuta accuratamente i problemi dell’una e dell’altra condizione. Forse anche noi dovremmo ritornare a questa visione saggia ed equilibrata. La crisi del matrimonio nelle nostre comunità cristiane è appaiata ad una crisi della verginità consacrata. Forse riscoprire il valore della verginità potrebbe far bene anche al matrimonio?

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Due voci nella folla
- Se ero il padre della ragazza… gliela facevo vedere io.
- Ma così diventi un animale…
- Con gli animali non puoi parlare all’intelligenza. Giù botte e basta. Così capiscono anche gli altri
- Ma non possiamo equipararci a loro. Se ci facciamo uguali a loro il male ha vinto…