II di Quaresima: Gesù trasfigurato - Il dono più bello

Una pretesa eccessiva?

Ciò che Dio chiede sembra essere sempre troppo. Ad Abramo chiede il figlio unico, il figlio della promessa. Che cosa è chiesto oggi a noi, uomini e donne del terzo millennio? Le risposte che si affacciano sono tutte inquietanti. Dio ci chiede di rinunciare al successo? Alla sessualità? Ai piaceri della vita? Alla nostra felicità? In realtà, Gesù ci chiede solamente di seguirlo, con tutto noi stessi, fino in fondo. Non è una pretesa eccessiva. È l’unico modo per essere suoi discepoli. L’unico modo (tra l’altro) di essere veramente felici, di gustare il piacere della vita, di raggiungere il successo e (sorpresa!) di vivere con autenticità la sessualità.

Un dono esagerato?

D’altra parte, anche ciò che Dio dona sembra essere troppo. Egli ci dona il Figlio unico, il Figlio unigenito, il Figlio amato. Un dono assolutamente reale, senza risparmio, senza finzioni. Come un giocattolo dato a bimbi capricciosi, che lo distruggono subito. Il Figlio amato viene addirittura ucciso: “venne tra la sua gente, e i suoi non l’hanno accolto”. Il dono è grande: non solo ci vien dato “qualcosa”, o “qualcuno”, ma Dio stesso. Eppure proprio per questo non viene compreso. Ma si può davvero “capire” un dono?

Il dono, la pretesa, la bellezza.

La pretesa di Dio è strettamente legata al suo dono. Dio chiede molto appunto perché ci dona molto (cioè tutto). Non possiamo però interpretare tutto questo in termini commerciali, di dare e avere. Il dono, che resta sempre “regalo”, gratuito, non può essere semplicemente “capito”, né propriamente “calcolato”. Un dono si porge, si accoglie, stupisce, sorprende, genera il “grazie”, genera una relazione nuova. Il dono resta “incomprensibile” e “incalcolabile”. Il racconto della Trasfigurazione, che troviamo in tutti i Sinottici, ha appunto lo scopo di aprire i nostri occhi sul dono che riceviamo in Gesù, rendere percepibile la sua bellezza, che altrimenti rischierebbe di essere travisata e banalizzata.

Bellezza che spaventa

Il Gesù trasfigurato è bellezza inaccessibile, che può fare paura. Porta gli stessi segni del Risorto: le vesti bianchissime “come nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere” e l’essere fuori dal tempo: conversa con Mosè ed Elia. I due grandi profeti di cui non si conosce la morte: Mosè, perché il suo sepolcro non fu più ritrovato, Elia, perché rapito al cielo in un carro di fuoco. La bellezza della trasfigurazione è, all’inizio, la bellezza del divino, terribile e affascinante. Pietro non sa che dire: preso dallo spavento, può solo collocare Gesù accanto ai due grandi profeti del passato, che dal monte avevano annunciato e minacciato la venuta di Dio, e che dalla storia erano poi spariti, senza lasciar traccia. La nube che li copre con la sua ombra viene a completare il quadro, che si potrebbe intitolare “la bellezza del divino inaccessibile”. Se tutto proseguisse in questa direzione, Gesù sarebbe il terzo dopo Mosè ed Elia. Un altro profeta, un altro rivelatore, un altro personaggio perso e lontano: irraggiungibile per il popolo.

Bellezza da ascoltare

Nella nube si sente però una voce. “Questi è il mio Figlio, l’amato”. La voce parla al cuore, con discrezione. Non annuncia una Legge, non minaccia castighi, non spaventa, non protesta. Semplicemente, mostra, indica il Figlio. Indica una relazione di amore. In cui si può entrare: semplicemente, ascoltandolo. Gesù è superiore a Mosè ed Elia appunto per questa relazione, non esclusiva, ma aperta. La superiorità di Gesù su Mosè ed Elia consiste inoltre nel fatto che egli scende dal monte. Che egli ritorna accessibile, umano. Non viene assunto in cielo, ma continua la sua strada verso la morte e la risurrezione. Non è separato dal popolo, ma apre una via.

Purificare i sensi

Solo tre discepoli vivono l’esperienza della trasfigurazione: non si tratta di un’esperienza di massa. Si deve compiere infatti un duplice passaggio: dall’umanità di Gesù riconoscere il divino; dallo splendore del divino, ridiscendere verso la croce. Scendono dal monte non con una certezza, ma con una domanda: che cosa significa la risurrezione? La domanda non può avere risposta: per capire la risurrezione, occorrerebbe prima accettare l’idea della morte in croce. Scendono dal monte rendendosi conto di dover ancora camminare con lui, di non essere arrivati. Ma appunto chi sa di non essere giunto, chi non è sazio, può mettersi a cercare. La trasfigurazione ci invita a guardare in maniera diversa: riconoscere in ogni fratello, in ogni sorella, felice o sofferente, il volto di Gesù, il volto di un figlio amato, di una figlia prediletta, di una persona chiamata ad entrare nella sua gloria. Oltre alla purificazione dello sguardo, la trasfigurazione richiama la purificazione dell’udito. Il digiuno quaresimale può rimodularsi come digiuno dal cellulare, dalle cuffie, dalla televisione, dagli infiniti sottofondi musicali a basso prezzo che impediscono di sintonizzare il cuore sulle onde dello spirito. In una parrocchia del mantovano la chiesa si apre, tutti i martedì di Quaresima, alle 23:30. Fino a mezzanotte, mezz’ora di silenzio. Niente canti, niente libri, niente luci (e neanche il riscaldamento). Niente folla: una provocazione, forse. Ma se anche solo tre persone riscoprissero nel silenzio la voce del Padre, sarebbe già un successo. “Ascoltatelo” dice la voce del Padre. Chi l’ascolta nel silenzio del cuore, non può restare sordo alla voce del fratello bisognoso. Lo stesso si può dire del gusto, dell’odorato, del tatto… da riscoprire non solo come sensi spirituali, ma come parte del nostro essere uomini in carne ed ossa, che credono in Gesù, il salvatore, venuto in carne ed ossa a mostrare il volto invisibile di Dio.