Seconda domenica di Avvento (lectio): preparate la via del Signore

Le letture della seconda domenica di Avvento si trovano come sempre nel sito “lachiesa.it” (cliccare qui per andare alla pagina):

Il testo greco del Vangelo, in zhubert.com (cliccare qui per andare alla pagina):

inizio del Vangelo di Gesù Cristo: espressione molto discussa. E' un incipit, un titolo, un’anticipazione dei contenuti? Si riferisce a tutto il Vangelo o soltanto al suo prologo? E qui Vangelo indica la predicazione di Gesù (cioè, quella effettuata da lui), o la predicazione su Gesù (cioè, quella effettata dalla Chiesa) o entrambe?
Tutti concordano che si tratta di una frase speciale. Tutti ritengono che abbia una funzione particolare all’interno del libro, e che si trovi in quella posizione per una scelta consapevole. Si rileva anche l’affinità con il Vangelo di Giovanni (che comincia con “in principio era il Verbo”) e con il libro della Genesi (“in principio Dio creò il cielo e la terra”). Con Gesù comincia qualcosa di nuovo. Che ha la stessa qualità delle origini. Ciò che è cominciato in Gesù è il fondamento di una nuova storia. A cui continuamente bisogna ritornare. Si tratta di un’espressione sintetica: che tende ad unire, più che a dividere. Vangelo è la predicazione di Gesù, la predicazione su Gesù, il libro che la racconta: nella mente del redattore, che ne proclama l’arché, non c'è una vera distinzione. Iniziare il libro è, per il redattore, tornare alle origini, alla fonte, alla radice: e così anche per il lettore. Dobbiamo per forza sottolineare la distinzione?

figlio di Dio: alcuni codici omettono. Ci potevano essere ragioni per aggiungere, o per togliere questa frase. Sembra una semplice questione di critica testuale, in realtà è la grande questione: Gesù, detto Cristo è anche figlio di Dio? Ed è figlio di Dio solo in senso morale, come un santo, o un profeta, o in senso più profondo?

come sta scritto: ci si riallaccia alla conclusione del canone profetico, alla affermazione di Malachia. Ci si riallaccia al primo dei libri profetici, e in particolare alla sua sezione che più si affaccia al futuro. L’aggancio è a ciò che era rimasto incompiuto: il profeta perfetto, l’autentica accoglienza del cuore alle parole divine, il giorno grande e terribile della manifestazione di Dio.

voce di uno che grida: tante voci avevano parlato già a nome di Dio. Eppure continuamente il popolo attendeva una nuova voce, più chiara, più convincente, più esplicita. Al di là delle voci umane, aspirava ad intendere la voce di un altro…

preparate la strada del Signore: nel contesto di Isaia, la frase aveva il senso di un invito ad accogliere la salvezza, contro l’equivoco che portava a pensare ad una specie di salvezza automatica, non solo proveniente unicamente dall’esterno, ma anche destinata a restare esteriore, più imposizione che dono. Fermo restando che la salvezza proviene da Dio, e che non è conquista umana, e anzi, proprio perché è una salvezza irriducibile alle sole attese umane, essa richiede di essere accolta, corrisposta, custodita. Altrimenti il rischio è di intendere il Dio salvatore come una specie di conquistatore, di passare da un padrone all’altro: tuttavia, già nell’Esodo Dio liberava il popolo per condurlo nel deserto della libertà, senza risparmiargli la tentazione e la prova. La salvezza non annulla, ma risveglia la libertà.

Commento

L’infedeltà da raddrizzare

Antefatto [scrivere in corsivo]: chiedo scusa ai lettori. Questa settimana è mancata l’ispirazione. E ora manca il tempo. Riprendo pertanto le parole che ho scritto tre anni fa, che peraltro mi si adattano benissimo.

Sul fondamento del passato

“Inizio del Vangelo”. Per qualcuno è un incipit, per qualcun altro è il titolo del prologo, per altri ancora è il titolo del libro. Quel che è certo è che è la prima frase del libro, e che contiene la parola greca arché, “inizio”: ma alcuni sottolineano che richiama Genesi, altri lo intendono come “fondamento, principio essenziale…”. È probabile che si tratti effettivamente di un titolo, che riguarda l’intera opera. Ci comunica che genere di operazione si è fatta: scrivere il Vangelo di Gesù è tornare alle origini, ritrovare il fondamento, definire ciò che è essenziale. E nello stesso tempo, significa ritrovare il legame vitale che unisce passato, presente, futuro. Noi moderni tendiamo a distinguere: Antico e Nuovo Testamento, Vangelo di Gesù e dottrina della Chiesa, ciò che ha annunciato Gesù, e ciò che altri hanno detto di lui. L’autore del Vangelo di Marco tende a unificare: a trovare il legame che tutto unisce. Per questo prende l’avvio in un modo per noi strano: citando l’Antico Testamento, riagganciandosi al passato, a ciò che era stato detto dal profeta Isaia. Il Vangelo di Gesù, che pure pretende di essere novità assoluta, si innesta sulla tradizione di Israele.

Quale novità assoluta?

Si potrebbe anche dire: Gesù è novità assoluta, ma comprensibile solo sullo sfondo dell’annuncio dei profeti e della storia di salvezza che lo precede. E’ possibile inventarsi un’altra novità assoluta? Sembrerebbe questa la pretesa di alcuni, nel mondo moderno. Poter rifondare l’uomo, i suoi valori, la sua stessa costituzione biologica. Il Vangelo, radicato nella storia, nella memoria, ci indica un’altra strada. E’ possibile rifondare l’uomo solo a partire dalla fedeltà di Dio. Anche l’Eucaristia traccia lo stesso percorso: la “nuova Alleanza” nel suo sangue è realizzabile solo “in memoria” di lui.

Fedeltà difficile

All’inizio del libro di Marco sta dunque il riconoscimento della fedeltà di Dio: Dio compie le sue promesse. A partire dalla fedeltà diviene possibile la novità assoluta: “Dopo di me viene uno che è più forte di me... egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”. Giovanni compie le profezie, ma segna anche il confine, il passaggio ad una nuova era. Tutto però si compie sotto il segno della fedeltà. Ma come è vista la fedeltà nella cultura attuale? Fatte salve le rituali dichiarazioni di buone intenzioni, il panorama non è molto confortante. Se guardiamo ai grandi miti mediatici, calciatori, attori, presentatori, modelle, troviamo contratti che vengono stracciati con facilità per ragioni economiche, legami sentimentali che da un’anno all’altro si rompono, dichiarazioni ondivaghe che vengono smentite da un mese all’altro.

La cultura del tradimento

Se guardiamo ai politici, troviamo le stesse oscillazioni di comodo, aggravate dal richiamo altisonante a grandi valori, sistematicamente poi contraddetto dai fatti. Anche la vita quotidiana costringe sistematicamente a grandi piccole infedeltà: rispettare un orario, rispettare un impegno, rispettare le leggi diviene sempre più difficile. Non solo i contratti dei calciatori sono fatti per essere stracciati o disattesi: basta chiedere a chi deve fare un lavoretto di riparazione in casa... e non solo i contratti dei calciatori sono pieni di clausole e trabocchetti: basta controllare l’estratto conto della banca... (NB: questo paragrafo è stato scritto tre anni fa, con un governo diverso, con una situazione economica diversa, e forse anche il calcio non era ancora trasformato da Calciopoli… mi pare di non dover cambiare una riga).

Nulla di nuovo?

Tutto sembra dunque congiurare contro l’atteggiamento fondamentale che la Scrittura attribuisce a Dio, e che di conseguenza caratterizza il credente: la lealtà e la fedeltà. Non è però una condizione del tutto nuova. Il Battista, che viene a “preparare le vie del Signore”, è mandato a un popolo sostanzialmente infedele, un popolo che ha smesso forse di attendere e di sperare nel suo Dio, che ha reso tortuosi i suoi sentieri. Nulla di nuovo quindi? Forse: la differenza tra gli uomini del nostro tempo e i peccatori che accorrono da Giovanni non sta nel fatto che loro erano più fedeli di noi. Piuttosto nel fatto che le nostre slealtà sono più tecnologiche e più globalizzate. Ma abbiamo lo stesso bisogno di conversione. E la stessa nostalgia di relazioni stabili, di una persona che mantenga la parola data, di poter confidare in qualcuno.

Ricostruire legami solidi

Giovanni ricerca la fedeltà a Dio attraverso la rinuncia ad ogni apparenza esteriore e ad ogni sicurezza economica: vive come un povero nel deserto, confidando solo nell’aiuto di Dio. Le folle accorrono, la voce si sparge: esiste una persona vera, una persona di cui ci si può fidare, qualcuno che mantiene la parola, che non si lascia corrompere e che conferma la speranza nella parola di Dio. Il messaggio di Giovanni non è indolore e consolatorio: se è vero che Dio sta per mantenere la sua promessa, anche il suo popolo deve tornare a lui, purificarsi dai suoi peccati: è il senso del suo battesimo, ed è anche il suo limite. Solo colui che battezza in Spirito Santo può cancellare totalmente il peccato.
Preparare la via al Signore
Anche per noi la figura di Giovanni è un invito a riparare le vie del Signore. Eppure noi siamo uomini del Nuovo Testamento, della Nuova Alleanza, che dovrebbero aver compiuto il passaggio. Ma quando la nostra vita quotidiana si riempie di piccoli o grandi tradimenti, diventa impossibile stabilire un legame solido con il Dio fedele, che ci dona il suo Spirito, che mantiene le sue promesse. Si tratta allora di ripartire da Giovanni, per ritrovare il desiderio di Cristo. Una delle parole chiave potrebbe essere proprio la fedeltà. Ad esempio, mantenere stabili i rapporti familiari. Che non è solo tener duro, ma anche reinventare, costruire di nuovo. Oppure, tener fede all’amicizia. Cosa difficile, in un mondo che paradossalmente rende sempre più precari i rapporti interpersonali. Oppure, molto semplicemente, la correttezza sul lavoro. Il rispetto per le persone, il rispetto delle leggi. Può esistere amore senza fedeltà? Possiamo dire di aver fede in Dio, se non meritiamo la fiducia dei fratelli?

SALMO

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace

Ascoltare. Parola da riscoprire. Attività da praticare. L’ascolto autentico è sempre più difficile. Rispondo a diverse telefonate. Prendo nota, manifesto interesse, eseguo, contesto: ma quante ne ascolto veramente? Vedo decine di persone, magari di corsa: a quante si apre veramente il cuore? Vedo molta gente indaffarata come me. Deve eseguire, produrre, fare: quando troverà il tempo di ascoltare? Vedo una ragazza bella, giovane, triste, che cammina per strada. Occhiali scuri, ma sotto si intravede lo sguardo rabbuiato. E le cuffie nelle orecchie. Una colonna sonora continua. Anche per lei, ascoltare è difficile. Come per me.
Ascoltare. Attività da riscoprire. Ma partendo da dove? Il salmo dice: “Ascolterò che cosa dice Dio”. Il punto di partenza è l’ascolto di Dio. Sopratutto nella liturgia: con i suoi silenzi, i suoi canti, le sue la presenza degli altri. Che diventa distrazione solo per chi non è in connessione con Dio. Chi ascolta veramente Dio, non può fare a meno di aprirsi ai fratelli.

Flash sulla I lettura
“Consolate, consolate il mio popolo”: l’annuncio della sciagura per il popolo occupa una gran parte dei libri profetici: di fronte al peccato e all’ingiustizia commessi sistematicamente dal popolo, la Parola di Dio non può che essere avvertimento, denuncia, invito alla conversione. Quando però l’ostinazione conduce il popolo alla catastrofe e all’esilio, l’annuncio profetico diviene segno di speranza e possibilità di riscatto. Questa seconda fase della profezia trova spazio nella seconda parte del libro di Isaia, a partire dal capitolo 40, che ascoltiamo in questa domenica: una proclamazione vibrante, carica di speranza: è finito il tempo del disastro, può cominciare il tempo della consolazione.
“Nel deserto preparate la via al Signore”: il messaggio profetico è sempre controcorrente e paradossale. Nell’epoca della prosperità, quando tutti sono convinti che le cose vadano bene, il profeta denuncia il male che corrode dall’interno la società; nell’epoca del disastro, quando tutti hanno perso la speranza, il profeta apre lo sguardo sulla consolazione che viene da Dio.
“porta gli agnellini sul petto
e conduce dolcemente le pecore madri”: Dio consola il suo popolo partendo dai più piccoli e dai più deboli. Che diventano anche segno di speranza. Possiamo leggere tra le righe un messaggio per la nostra Chiesa e per la nostra società: una società che non sa prendersi cura dei deboli è una società senza speranza, che si incrina sempre di più. E anche una Chiesa che non si interessa dei più deboli, sarebbe una Chiesa svuotata di forza, anche se ricca di risorse.

Flash sulla II lettura

SECONDA LETTURA

“Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza”.

La lentezza nel compimento del Regno di Dio fa problema anche oggi, come nel mondo antico. La lettera di Pietro affronta dunque la difficoltà di sempre, permanente, che resterà fino alla fine dei tempi.

“Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”.

La contestazione di Dio prende le mosse dalle esigenze umane, dai tempi calcolati su misura per se stessi, sull’impazienza contro chi non si adegua ai ritmi che ciascuno calcola per sé. Pietro invita ad uno spostamento radicale: entrare nella magnanimità di Dio stesso. Entrare nel senso della sua attesa. La traduzione precedente diceva: “Dio usa pazienza verso di voi … ”: la nuova traduzione, rispettando maggiormente il testo greco, riprende l’idea della “magnanimità”. Sembra una parola più arcaica, meno attuale: in realtà non è un problema di parola: è la realtà corrispondente che è fuori moda. Siamo costretti ad essere pazienti (quando siamo in coda in auto, quando aspettiamo il nostro turno, quando l’idraulico non viene…), ma sembra che non sia più un valore l’apertura di cuore. Questo è invece l’atteggiamento di Dio: non solo sopportazione e pazienza, ma anche benevolenza, attesa, cuore aperto, abbraccio pronto. L’attesa del pentimento e della conversione è la prospettiva in cui siamo invitati ad entrare nel tempo di Avvento. Dobbiamo però rovesciare la veduta: istintivamente, pensiamo di essere noi ad aspettare Dio. E ci arrabbiamo se non arriva quando vogliamo. La lettera di Pietro inverte i ruoli: è lui che aspetta noi, la nostra conversione, la piena corrispondenza al suo amore. Proprio noi ci scopriamo in ritardo, lenti a dirgli di sì, pigri nell’agire secondo il Vangelo.
“… fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia … ”:

tolto quindi ogni giudizio nei confronti dei fratelli, ogni pretesa vendicativa nei confronti di altri uomini, la lettera invita ciascuno a restare “in pace”, guardando a se stesso, e impegnandosi in prima persona a ritornare a Dio.