II Domenica del Tempo Ordinario B - Ecco l’agnello di Dio!

Le letture della seconda domenica del Tempo Ordinario B si trovano al solito sito “www.lachiesa.it”
Il testo greco del Vangelo è al sito “zhubert.com”

1Samuele 3,3-10.19 Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta.
Salmo 39 Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
1Corinti 6,13-15.17-20 I vostri corpi sono membra di Cristo.
Canto al Vangelo (Gv 1,41.17b): «Abbiamo trovato il Messia»: la grazia e la verità vennero per mezzo di lui.
Giovanni 1,35-42 Videro dove dimorava e rimasero con lui.

NOMI, SOPRANNOMI, TRADUZIONI

Chi sei? Come ti chiami? E chi siamo noi? Come veniamo chiamati da altri? Sembra una questione di poco conto. Noi moderni tendiamo a relativizzarla… mentre nella Bibbia è importante. Il nome, il soprannome, il titolo con cui ci si rivolge a qualcuno rivela identità e relazione. E la perdita del nome, che cosa potrà significare? Lo vedremo al termine di un piccolo viaggio all’interno del testo… alla ricerca di nomi, soprannomi, e delle loro traduzioni.

Il soprannome profetico

All’inizio del percorso sta la frase di Giovanni: “Ecco l’agnello di Dio”: esso non rappresenta solo una conoscenza iniziale da approfondire, ma un enigma, un’affermazione profetica che contiene già in nuce tutto il mistero della sua persona. Nell’Antico Testamento l’agnello era quello pasquale, mangiato la notte dell’Esodo: colui che con la sua morte e il suo sangue assicura la salvezza del popolo. Al termine del vangelo troviamo la citazione del rituale della Pasqua: “non gli verrà spezzato alcun osso”. Gesù crocifisso viene chiaramente identificato come agnello pasquale immolato. E possiamo forse cogliere un’allusione anche al testo del servo sofferente: “come agnello condotto al macello”. La presentazione di Giovanni è dunque una presentazione profetica, che mantiene il suo valore, che non viene superata da una conoscenza più elevata, ma che viene adempiuta e sempre si ripropone a noi, che difatti l’abbiamo accolta nella liturgia, in un momento chiave, prima della Comunione. Ad ogni celebrazione della Messa siamo riportati all’enigma, a questo mistero, che non finiremo mai di esplorare compiutamente.

Maestro o Messia?

I due discepoli del Battista, che passano poi a seguirlo, lo chiamano prima “Rabbi - che tradotto significa maestro”; e poi “Messia – che tradotto significa Cristo”. C’è una gran preoccupazione per la traduzione: anche alla fine troviamo il titolo di Cefa “che si traduce Pietro”. I titoli di Gesù mostrano un progresso nella conoscenza dei discepoli: inizialmente essi lo vedono come “Maestro”; al termine dell’incontro (restando con lui) essi lo vedono come il “Cristo”. Potrebbe essere forse questo il cammino spirituale di ogni uomo. Inizialmente si accosta a Gesù per ragioni umane, cercando un insegnamento, una sapienza di vita, parole forti, consolanti, un messaggio di speranza, un invito al cambiamento… molti si fermano a questo. Considerano una specie di tradimento della Chiesa che poi quel Gesù che essi stimano e rispettano come uomo sia stato poi identificato con il Figlio di Dio.

Il salto da compiere

Noi cristiani abbiamo compiuto (almeno inizialmente) il salto: nell’uomo Gesù riconosciamo il Figlio di Dio. Che poi non è realmente un salto: è piuttosto un approfondimento, uno svelamento, la straordinaria ricchezza divina che filtra attraverso l’umano; e anche la straordinaria bellezza dell’umano che risplende dello splendore originario, pacificata con il divino, non contaminata dalla divisione del peccato.

Una nuova identità – da tradurre

Per tre volte abbiamo il verbo “tradurre”. Un termine ebraico viene introdotto nella forma traslitterata, e immediatamente spiegato e tradotto. Il titolo con la sua traduzione sembra avere un valore strutturale: scandisce le tre fasi in cui procede il racconto (in particolare, ne segna la conclusione). Non solo progredisce la conoscenza di Gesù, ma si ha l’attribuzione di una nuova identità ad uno dei discepoli. La conoscenza di Gesù non solo aiuta i discepoli a conoscersi, ma plasma in modo nuovo e inatteso la loro personalità.
Tutti questi titoli (rabbi, messia, Cefa) sono riportati nell’originale ebraico, per trasmettere il sapore storico del contesto iniziale. La storia di Gesù ha avuto luogo in un preciso momento di tempo, non è una favola; e tuttavia non è confinata nel tempo, non resta esperienza incomunicabile. I titoli originari erano stati tradotti già nella primitiva comunità che dà origine al Vangelo di Giovanni. L’operazione di traduzione e interpretazione deve continuare.

Nomi e numeri

Abbiamo visto dunque che Gesù ha un’identità profetica, misteriosa, che va approfondita. Una identità parziale, che si esprime nel titolo di “maestro”. Un’identità piena, a cui allude il titolo di “Messia-Cristo”. Abbiamo visto che conoscendolo, anche Simone riceve il nuovo nome di Pietro. E ci stiamo già interrogando su come tradurre questi termini. Con una certa difficoltà. Il ruolo di maestro nella nostra epoca è stato confinato all’educatore dei fanciulli. L’uomo moderno, adulto, rifiuta i maestri (per cadere vittima di imbonitori e seduttori però… e delle suggestioni mediatiche). Anche Pietro forse non sarebbe oggi un gran bel soprannome: alla durezza della roccia, si preferisce la duttilità, la flessibilità, la capacità di cambiare ruoli. Molti oggi (chi naviga nel mare della rete informatica) hanno soprannomi (chiamati in gergo nicknames) che però servono spesso a mascherare la propria vera identità – o ad esprimere il proprio io sognato e irraggiungibile. Sempre più spesso, siamo chiamati per cognome, identificati dal mestiere, classificati con una chiave identificativa unica (il numero che nel computer serve a richiamare un dato). La perdita del nome significa perdita di identità, e perdita di relazione. Proprio quella dinamica che il Vangelo odierno vuole trasmettere.

Dove abiti?

Le frasi simboliche “Dove abiti”? e “Venite e vedrete” non sono riportate solo nel loro valore cronachistico, ma acquistano un valore simbolico più profondo. La prima rappresenta una ricerca profonda da parte della creatura umana: la ricerca di una “casa”, la ricerca di una relazione, la ricerca di una amicizia. L’amicizia ha bisogno di stabilità, di continuità. Il verbo usato sarà ripreso in importanti sezioni successive: “Rimanete nel mio amore”, “chi osserva i miei comandamenti, rimarrà in me e io in lui”.

La via dell’esperienza

La risposta di Gesù indica la via dell’esperienza. Si tratta di seguirlo, affidarsi a lui, compiere un cammino: sembra un’esigenza opposta a quella del rimanere, ma esprime la stessa idea di continuità: per “andare a vedere” sarà necessario “rimanere con Gesù”. I discepoli non troveranno solo una casa, ma qualcuno con cui restare, qualcuno con cui camminare. La risposta di Gesù fa compiere un progresso all’esigenza dei discepoli: essi volevano un luogo fisico, un incontro delimitato; trovano invece qualcuno che li mette in movimento, e che da allora in poi sarà sempre con loro. Sapremo trovarlo anche noi? Sapremo ritrovare il nostro nome? Ci sarà qualcuno che ci dà un nome nuovo?