I di Quaresima: stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano

Il tentatore
La figura del tentatore ci mette a disagio. Il nome di derivazione ebraica (Satana) significa più precisamente “accusatore”. Qualcuno che accusa, che insinua, che mette divisione, che semina il dubbio cattivo (non quello che spinge a cercare, ma quello che impaluda, frena, e lascia nella disperazione. Ci sono stati teologi che in varie epoche hanno provato a ridefinire il suo ruolo, alcuni fino a negare la sua stessa esistenza. E certamente in molti passi biblici la figura del demonio è tratteggiata con un linguaggio fortemente contaminato da una mentalità mitica, inaccettabile per l’oggi. Ma è davvero possibile escluderlo completamente dalla scena? Liquidare tutti i passi biblici che parlano del demoniaco come residuati di una mentalità mitica? Questo non sembra possibile. Per cui la Chiesa ripropone, anche nel Catechismo, la dottrina tradizionale, senza cadere nell’esagerazione opposta, di trasformare la fede cristiana in una demonologia. Alcuni discorsi infatti esercitano una perversa attrattiva, suscitano curiosità morbose, e finiscono per oscurare la limpida fede nel Dio della vita e della pace.

Messo tra parentesi
Insegnanti di religione, catechisti, preti, tutti coloro insomma che sembrano detenere le credenziali per parlare un po’ più approfonditamente della religione cristiana, si sentono rivolgere quasi più domande sul demoniaco che sul divino. Come se parlare del diavolo fosse interessante, e la verità della fede no. Questa in effetti è veramente l’essenza della tentazione, la sua realizzazione più sconcertante. Il vangelo di Marco, che ascoltiamo all’inizio della nostra Quaresima, è sorprendentemente efficace al riguardo: riduce al minimo la scena della tentazione, a un piccolo inciso, quasi una parentesi. Il nemico non è importante, non è un personaggio di primo piano: al centro sta Gesù, che lotta vittorioso contro il male. Il fatto interessante è che in lui possiamo riporre la nostra stessa speranza.

Simboli biblici
Nella sua brevità si tratta di un brano estremamente denso. Quasi ogni parola contiene un rimando a simboli biblici fondamentali. Il primo è il deserto: luogo della tentazione e della lotta, certo, ma anche luogo dell’incontro. Ogni volta che la creatura umana  vuole riavvicinarsi a Dio, incontrarsi cuore a cuore con lui, deve prepararsi alla lotta: lì sarà presente anche la tentazione. Questa era stata la dura esperienza di Israele nel deserto, ma questa era stata anche la dura esperienza in tutta la storia del popolo eletto. Ciò che i teologi chiamavano “peccato originale”, che si potrebbe forse definire come “peccato fondamentale”, e come un rumore di fondo accompagna tutta la storia, primaa di essere un (apparentemente) astratto enunciato teologico è stato l’esperienza di un popolo.
Per secoli. Dall’inizio. I quarant’anni trascorsi nel deserto sono la rappresentazione di questa incapacità di relazionarsi con Dio, per cui Mosè e tutta la generazione dell’Esodo sono esclusi dalla terra promessa. Anche gli angeli rappresentano l’occasione perduta, la possibilità mai realizzata (anche se sempre desiderata). Le bestie selvatiche invece rappresentano il mondo della natura, da cui l’uomo si è separato con una dolorosa frattura. Un processo di umanizzazione inquinato dal peccato porta ad una separazione dal creato, che da dono di Dio diventa nemico, oggetto di sfruttamento, realtà feroce evendicatrice.

Armonia ritrovata
La costellazione di simboli biblici che qui ritroviamo ha al suo centro, come un astro luminoso, Gesù. Abbiamo visto come nell’Antico Testamento essi rappresentavano altrettante realtà interrotte, possibilità incompiute, sogni di salvezza e dolorose rinunce. Ora in Gesù tutto si ritrova. La tentazione è vinta, il deserto è veramente luogo di incontro con il Padre, si ristabilisce la pace con il mondo angelico e con il cosmo creato. Tutto è al servizio dell’uomo nuovo, Gesù. Il verbo “servire” è un verbo chiave, che conclude la sequenza. Molto più avanti nel vangelo di Marco si legge che il Figlio dell’uomo “non è venuto per essere servito, ma per servire”. Ora però vediamo che Gesù si lascia servire dagli angeli. Non per sé, ma per noi si lascia servire. Perché tutta la sua missione consisterà nel riportare l’umanità alla condizione che le spetta di diritto, a quella costituita dal progetto del Padre: la creatura umana come vertice della creazione, onorata dagli angeli, custode di tutto il “kosmos” ordinato da Dio.

Gesù al nostro servizio
Occorre essere serviti, per servire in pienezza. Conoscere il bene e la bellezza, sperimentarlo in prima persona, per poterlo donare agli altri. L’evangelista mostra, nell’esperienza del deserto, che Gesù veramente ha qualcosa da donare, e può realizzare ciò che era rimasto incompiuto. Egli dal deserto torna in Galilea, varca il Giordano, entra nella terra promessa. Ciò che non era riuscito a Mosè, ora egli lo compie. La sua prima proclamazione è esattamente proclamazione del compimento. “Il regno di Dio è vicino!”. La terra promessa è a disposizione. Non come un territorio, una proprietà, un possesso umano per cui fare guerra, ma nella persona di Gesù, pacifica e armonizzatrice.

La voce della tentazione
Di fronte all’annuncio del Vangelo, che risuona all’inizio della Quaresima, si frappone gracchiante il solito rumore di fondo. La voce della tentazione ci porta a dubitare. È proprio vero che il regno di Dio è vicino? È proprio vero che il tempo è compiuto? Non sono forse passati invano questi duemila anni? Gesù, colui che vince il male, colui che vince la tentazione, colui che è guidato dallo Spirito del Padre, sempre sospinto dalla sua forza creatrice e rinnovatrice, ci invita a non cedere, a lottare con coraggio nel tempo quaresimale.
Gesù era un uomo solo. Di fronte a un mondo malvagio. Di fronte a un popolo peccatore. Noi, suoi discepoli, siamo ora milioni. Di fronte a un mondo che non è più malvagio di allora, in cui sono stati seminati segnali di speranza. Anche noi, come l’antico popolo di Israele, ci scopriamo peccatori. Più ci avviciniamo a Dio, più emergono le resistenze, le incoerenze, la profondità del peccato. Gesù era solo. Ma attraverso di lui il Padre ha cominciato a convertire, a far ritornare i suoi figli. Uno ad uno. Veramente il tempo è cambiato, c’è una possibilità nuova nella storia. La Quaresima che incomincia ci invita a coglierla. Non aspettiamo che tutto il mondo si converta. Cominciamo noi, a tornare al Padre, seguendo Gesù.