VI domenica - Se vuoi puoi guarirmi

COMMENTO: Gesù contagiato

Separato da tutti
All’inizio del brano troviamo un lebbroso completamente isolato a causa della sua malattia. La legge di Mosè gli consente di vivere, purché stia separato dalla comunità. Gli consente anche di tornare a vivere a contatto di tutti, purché provi la sua guarigione di fronte ai sacerdoti. La legge tuttavia è incapace di operare la cosa più importante per un lebbroso: la guarigione. Solo Gesù può fare questo, e il lebbroso lo sa. Per questo cerca la presenza di Gesù.

Gesù lebbroso
Al termine del brano troviamo il lebbroso guarito, disinvolto e chiacchierone, che si mette a parlare a destra e a sinistra, come se volesse recuperare il tempo perduto. Parla di Gesù e di come è stato guarito. Anzi: purificato. Reso puro integralmente, anche nella dimensione sociale, anche nella relazione con Dio. Sparge a piene mani il contagio della chiacchiera, sia pure a fin di bene, sia pure evangelica (ma è poi chiacchiera la sua? Non è una forma irresistibile di testimonianza? Davvero avrebbe dovuto tacere? Lascio ai lettori la risposta a queste domande…). Chiacchiera o testimonianza che sia, il contagio è devastante: Gesù non può più entrare in città. Segregato, come un lebbroso. Anche se tutti vanno da lui. Ma non sembra essere questo che lui vuole.

Solidità ed entusiasmo
Già l’abbiamo visto domenica scorsa: Gesù vuole predicare e insegnare, oltre che guarire. L’intervento a favore del malato, del bisognoso, dell’uomo prigioniero del male, è il il segno, complementare e necessario, dell’arrivo del Regno di Dio. Ma non può essere la componente dominante. Un Gesù subissato di richieste di guarigione, impossibilitato ad entrare in città, costretto a stare in luoghi disabitati, non può più adempiere la pienezza della sua missione. Così si spiega, forse, il pesante ammonimento rivolto al lebbroso guarito: di non dire nulla a nessuno, e di presentarsi invece ai sacerdoti. Una procedura legale, un po’ burocratica, fredda, che tuttavia ha il vantaggio di costituire una testimonianza solida e fondata, riconoscibile anche dai sacerdoti del tempio.

La trappola
Il lebbroso preferisce – o forse non può fare a meno di preferire – una testimonianza entusiastica, spontanea, disordinata, che scatena una selvaggia caccia a Gesù. Il lettore è portato a guardarlo con occhio indulgente: non si può trattenere la gioia dell’incontro. Il lettore un po’ più attento coglie la trappola: se la fede entusiastica ed emotiva non cresce e non evolve verso una fede fondata e consapevole, finirà per cedere nel momento della prova. Il vero, grande miracolo di Gesù è la risurrezione: preceduta dal non-miracolo della morte in croce. Chi desidera solo guarigioni, rischia di voltare le spalle quando si tratta di seguire Gesù sulla via della croce.

La lebbra di oggi
La solitudine è la lebbra dei tempi moderni. Paradossale, nell’epoca della comunicazione. Ma la comunicazione tecnologica, meccanizzata, digitalizzata e a pagamento, sottrae alle relazioni umane l’elemento più qualificante, anzi gli elementi più fondamentali: il contatto fisico, faccia a faccia, e la gratuità. Gesù si commuove per il lebbroso. E senza farsi pagare gli offre la guarigione che cerca: anzi gli dà di più: l’accesso al Regno di Dio. Interviene toccandolo, come verbo fatto carne, figlio di Dio fatto uomo. E chiede a noi di fare lo stesso. Noi, persone vive, siamo oggi la sua tele-visione, il suo mezzo di comunicazione, il suo strumento di contatto a distanza. Uomini e donne in carne ed ossa, capaci di parlare, di toccare, di guarire solitudini e povertà. Uomini e donne in carne ed ossa, capaci anche di credere nell’ora della prova, e di seguirlo sulla via della croce.