Prima domenica di Avvento: Lo dico a tutti, vegliate! (Meditatio)

La parabola pone notevoli interrogativi, e si apre a diverse soluzioni: chi è il padrone? chi sono i servi? E' centrata sui servi, o dà un rilievo particolare al ruolo del portiere?

La scansione dei tempi:
notte - mezzanotte- canto del gallo - alba: Una simile ripartizione della notte si trova anche in un altra narrazione fondamentale: quella di Esodo 14 (traversata del Mar Rosso). In molti testi biblici viene presentato il valore simbolico della notte:
notte tenebrosa, momento di prova e di tentazione;
notte luminosa: momento di rivelazione;
notte oscura: momento di intimità, accoglienza, riposo. Il buio non contrapposto alla luce, ma nella sua valenza simbolica di grembo materno, intimità originaria.

Il potere è lo Spirito, che è dato alla Chiesa. Il compito assegnato a ciascuno dei servi sono i carismi che abbiamo. Per noi si tratta di rimanere al servizio, senza pretendere di diventare padroni.

Il portiere: chi nella comunità presiede. I servi rappresentano la Chiesa.

Il portiere (seconda interpretazione): la comunità cristiana, la comunità dei discepoli. A cui è affidato il compito della vigilanza escatologica. Tener viva nel mondo l’attesa del Risorto.

Il portiere (terza interpretazione): chiunque abbia una responsabilità specifica nei confronti di altri. Chi non ha solo un compito per sé, ma svolge anche un servizio a favore di altri.

Mi piace molto che la I domenica di Avvento riprenda la stessa tematica della festa di Cristo Re. Inizio e fine dell’anno liturgico si fondono. Dunque, la vigilanza è una costante, che accompagna tutto il tempo di vita del cristiano. Non solo un attimo, non solo un dovere, ma un atteggiamento di vita. Una beatitudine da vivere.

Intendo la vigilanza non come un atteggiamento di paura, di timore, di tensione nervosa… ma come un atteggiamento insieme di attenzione e di operosità. Una tensione positiva, interiore, che anima ogni realtà della vita. Con una connotazione affettiva, che si attiva continuamente: non vivo più solo per me stesso, con i miei progetti, le mie paure. Ma riferisco tutto a lui, al Signore, che deve tornare. Non vivo più i fallimenti come una sconfitta, i successi come momenti di autoesaltazione: ma ridimensiono gli uni e gli altri nel suo nome.

Mi fa venire in mente una domanda: chi aspetto? Che cosa aspetto? Per chi o per cosa si risveglia il mio cuore?

È un invito a cambiare logica, a cambiare il modo di pensare. Di solito ci illudiamo che tutto possa funzionare secondo i nostri pensieri. E quando qualcosa va storto, ci abbattiamo. Quando si ricevono segnali negativi, si smette di cercare. Vegliare significa cambiare atteggiamento: essere più recettivi, meno impostati, meno programmati. Nella negatività non abbattersi, resistere, continuare a chiedere, a sperare, a cercare anche le soluzioni che non possiamo darci da soli. Perché non viviamo da soli…

In effetti, la fedeltà nel tempo non è facile. Ed è proprio quello che il Signore ci chiede. Ci può essere un calo di attenzione. Subentra l’abitudine. Può essere utile o importante far parte di un gruppo, o meglio sentirsi parte di una comunità: avere sempre qualcuno che ti parla, che ti avverte, che ti sveglia… l’invito è rivolto al plurale. Per aiutarci a vegliare insieme.

Vigilare: come una sentinella. Con un’attenzione costante, un pensiero fisso, una tensione rivolta a Dio.

L’incontro con il padrone: quotidiano. Perché in qualche modo mi viene sempre incontro ogni giorno (vedi domenica scorsa: Gesù presente nel povero).
L’incontro con il padrone: nella vita. Perché ci sono avvenimenti grossi in cui si manifesta la sua presenza (oppure si sente il suo vuoto).
L’incontro con il padrone: nell’esperienza della fine. La morte. Anche se di solito non ci si pensa.
Il ritorno del padrone: l'incontro finale, nella morte. Che però sembra essere: noi che andiamo a lui.
Il ritorno del padrone: un movimento del Signore verso di noi. La fine dei tempi.
Il ritorno del padrone: il momento della prova.

COME SI FA A VEGLIARE? Si tratta di cogliere alcuni segnali nascosti. A cui non si dà peso. Troppo spesso ce ne accorgiamo dopo: dovevo stare più attento, potevo capirlo prima… a volte è quando devi decidere troppo velocemente. Però quando si decide velocemente, a volte è proprio lì che si vede chi siamo veramente. Al di là delle nostre maschere, degli schermi che ci mettiamo intorno.

Vegliare: non una cosa cervellotica. Ma anche un dono che riceviamo. Attendiamo una presenza, una visita, la sua venuta: attendiamo lui, il Signore. La sua presenza è un dono, ed è un dono anche il poterlo aspettare, avere del tempo per imparare ad aspettarlo. E quindi in definitiva è l’attesa che ci forma…