I Domenica di Avvento: Tu sei nostro padre (I lettura)

Tu, Signore, sei nostro padre,
da sempre ti chiami nostro redentore.

Siamo nell’ultima sezione del libro di Isaia, la più recente nel lungo processo redazionale che ha portato al testo che noi conosciamo. Dio viene chiamato con il nome di “padre”: la fede di Israele comincia a convergere verso la novità evangelica. Gesù poi rivelerà che Dio non è solo “padre”, origine del popolo, ma anche “abbà”: termine che esprime risonanze affettive e confidenziali, e che inoltre allude alla relazione trinitaria, che lega il Padre, il Figlio, e la forza dello Spirito che è riversato e grida nel cuore del credente. Lo stesso spirito che ispirò questa preghiera, alla conclusione del libro di Isaia. Il popolo di Israele, al termine di un’esperienza di secoli, riconosce Dio come “padre”. Che allude all’origine assoluta, alla guida, all’autorità e responsabilità nei confronti del più debole.

Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie
e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?

L’invocazione accorata (“perché?”) prende la forma di un rimprovero. L’intuizione della paternità di Dio non germoglia in un tempo di successi e di grandezza, ma nell’amarezza dell’esilio, nelle difficoltà del ritorno, nell’apparente fallimento dei sogni del popolo.

Ritorna per amore dei tuoi servi,
per amore delle tribù, tua eredità.

La lontananza accende il desiderio. La sensazione dell’assenza indica ciò che altrimenti la coscienza rifiuta: siamo fatti per Dio. Non possiamo esistere senza di lui. Ciononostante egli non vuole costringerci ad amarlo.