I Domenica di Avvento - Commento: Vigilare insieme

Vegliare per aspettare

Stare svegli ad aspettare. Perché? Per essere pronti, e non lasciarci sfuggire l’occasione. Quando si aspetta quello che non c’è. C’è chi aspetta un lavoro, chi un amore, chi semplicemente aspetta di cambiare… fino a quando ciò che si aspetta arriva. E si comincia ad aspettare qualcosa d’altro. Chi trova il lavoro, aspetta le vacanze. Chi trova l’affetto, aspetta di coronarlo, di completarlo… a volte resta deluso, e attende solo il momento di finirla. Quando sarà libero di aspettare un altro amore… Chi aspetta di cambiare, a volte si ritrova esattamente come prima. Che cosa aspettiamo? E a che serve aspettare?

Vegliare per custodire

Ci sembra di essere utili solo quando facciamo qualcosa. Quando si produce. Il tempo della sala d’attesa è tempo perso. Ci sembra che Dio voglia da noi che si produca qualcosa, che si resti operosi: e difatti Gesù lo paragona a un padrone di casa, che parte e va lontano, e lascia a tutti i servi il loro compito. Ciascuno ha qualcosa da fare. Come i servi della scorsa domenica: a ciascuno almeno un talento da trafficare. Solo uno non ha niente da fare: è il portiere. A lui è chiesta una sola cosa: vigilare ed essere pronto quando il padrone arriva. Che senso ha tutto questo? A che serve un portiere? Che cosa produce? Il portiere non faa nulla. Semplicemente, aspetta, osserva, custodisce.

Il valore della casa

I portieri oggi sono quasi spariti. Costano troppo. Bastano porte ben chiuse, catenacci robusti, eventualmente telecamere. Chi ha convenienza a pagare una persona per non far nulla, se non custodire quello che già c’è? Amenoché non si tratti di un grande valore. Amenoché esso non assicuri una rendita sufficiente. E sia importante essere pronti e accoglienti. Allora può aver senso affidare ad una persona il semplice compito di vigilare. Che è comunque un fare. E che ha comunque un valore.

Come il portiere

La parabola di oggi non è forse la solita parabola del padrone e dei servi. Andrebbe ridefinita come la parabola del portiere: colui che ha l’incarico di vigilare e aprire la porta. Le applicazioni sono molteplici. Pensiamo ad esempio a tutte le persone che nella Chiesa hanno responsabilità di altre: genitori, catechisti, educatori, parroci, responsabili di attività… al novanta per cento il loro non è un compito strettamente produttivo. Per lo più si tratta di aspettare. Di attendere con pazienza la crescita, di sorvegliare il cammino della libertà. Certo, a volte si tratta anche di promuovere, di stimolare… ma poi lo slancio deve venire da sé. Spesso si tratta solo di farsi trovare pronti, di aprire la porta. "Ogni volta che avete fatto questo ad uno solo dei miei fratelli più piccoli…”: a volta basterebbe essere pronti per aprire la porta. Invece di perdersi in una miriade di attività che impediscono poi di essere attenti.

Chi veglia

Ma il Signore che viene non è solo il povero che bussa: noi abbiamo fede in un’altra venuta, che riguarda ciascuno alla fine della vita, e riguarda il mondo alla fine dei tempi. Perdere il senso di quest’attesa sarebbe gravissimo: limitarsi a custodire la casa, senza ricordare che il padrone deve tornare, significa considerarsi padroni, abusare del potere, abusare della fiducia: e va a finire che la casa crolla. Qualcuno, nella Chiesa, ha il compito di ricordare il primato di Dio, l’attesa della sua venuta. Sono i religiosi, soprattutto i contemplativi: coloro che mostrano, con tutta la loro vita, che non basta gustare i segni della sua presenza nel presente, ma che occorre spingersi oltre. E in fondo tutta la Chiesa ha questo compito, questa dimensione pressante nella sua identità: ricordare al mondo la sua insufficienza, tenere desta l’attesa del Signore.

Il tempo dell’attesa

Il tempo dell’attesa non è tempo perso. È come il sale che dà sapore al presente. È pienezza che invade anche le realtà più insignificanti. È scoperta di un valore che è già presente, che è già in atto, che chiede di essere contemplato, prima ancora che di essere manipolato. Vivere l’attesa significa vivere in un progetto, pregustandone la realizzazione, vivendo ogni tappa che già si completa. Chi costruisce una casa, sa che ogni mattone contribuisce ad edificarla. Chi percorre un cammino, può apprezzare ogni passo che avvicina alla meta. Ma che cosa attendiamo noi che diciamo di essere cristiani? E come questa attesa riempie la nostra vita?